
Calcio
Virtus Molfetta, il Presidente: "Non scenderemo in campo ad Andria. Clima minaccioso e antisportivo"
"Abbiamo preso questa decisione a seguito di un messaggio vocale intimidatorio"
Andria - venerdì 11 aprile 2025
15.02 Comunicato Stampa
Partiamo dalla notizia. Domani la Virtus Molfetta non scenderà in campo contro la Virtus Andria per la gara di ritorno delle semifinali di coppa Puglia Terza Categoria.
Abbiamo preso questa decisione a seguito di un messaggio vocale intimidatorio e decisamente poco garbato, inviato tramite whatsapp allo stesso presidente da un dirigente della società andriese. In quel messaggio c'era il "consiglio", per usare un eufemismo, di non presentarci sabato per la partita. C'era anzi un'intimazione al presidente di "ritirare" la squadra, parole neanche troppo velatamente equivalenti alla minaccia di trasformare la partita in una resa dei conti, quando non in una caccia all'uomo.
Il motivo? Presto detto. Nel corso della sfida di andata, sin dall'inizio contraddistinta da provocazioni, insulti, scorrettezze e intimidazioni, dentro e fuori dal campo, della Virtus Andria e di un gruppo di suoi tifosi, al punto da indurre il direttore di gara quasi a sospendere il match (mai stato tale, di fatto, in un contesto da guerriglia), un sostenitore molfettese presente in tribuna ha sciaguratamente lanciato in campo una bottiglietta. Questa, incidentalmente, ha colpito un dirigente andriese, prontamente soccorso e medicato.
Sgombriamo il campo da equivoci: la società stigmatizza e ha subito stigmatizzato l'episodio, che non rappresenta in alcun modo i valori da sempre professati dalla Virtus Molfetta. Si è trattato di un gesto sbagliato e censurabile rispetto al quale la società non può comunque essere strettamente responsabile, nella misura in cui non può controllare quanto avviene tra il pubblico, fuori dal campo.
Ciò premesso, non può essere in alcun modo giustificabile un messaggio talmente eloquente da potersi definire già a priori violento.
Parole e intendimenti lontani anni luce dalla nostra idea di sport. Chi gioca a calcio in terza categoria è padre o figlio di famiglia. Accettare di prender parte a una partita in cui già preliminarmente è annunciata una nuova guerriglia, al punto da considerare auspicabile, dalla società andriese, che nemmeno ci si presenti allo stadio, è raccapricciante. E suona davvero beffardo quanto deciso dal giudice sportivo, che si è limitato paradossalmente a sanzionare il nostro club per il lancio della bottiglietta, senza fare nulla contro l'atteggiamento aggressivo avuto dalla Virtus Andria in campo e sugli spalti. Un atteggiamento, teniamo a specificare, che ha spinto intere famiglie, bambini compresi, a lasciare lo stadio terrorizzate. Eppure nulla lasciava pensare che qualcosa del genere potesse accadere, complice l'atteggiamento positivo, quasi mansueto, della Virtus Andria in occasione dell'ultima sfida, coincidente con la finale dei play off, andata in scena poche settimane prima. Non sappiamo cosa sia cambiato nel frattempo. Sicuramente domenica mancavano terna arbitrale, telecamere, attenzione mediatica. E chissà che questo non abbia contribuito a "liberare" certi istinti.
Fatto sta che abbiamo deciso di non presentarci, domani. Ma non lo facciamo perché abbiamo paura. Lo facciamo perché vogliamo avere coraggio. Il coraggio di denunciare, di attribuire delle responsabilità, di dire le cose come stanno. Perché sarà anche Terza Categoria, ma la categoria umana deve, o dovrebbe, valere più di tutte.
Abbiamo preso questa decisione a seguito di un messaggio vocale intimidatorio e decisamente poco garbato, inviato tramite whatsapp allo stesso presidente da un dirigente della società andriese. In quel messaggio c'era il "consiglio", per usare un eufemismo, di non presentarci sabato per la partita. C'era anzi un'intimazione al presidente di "ritirare" la squadra, parole neanche troppo velatamente equivalenti alla minaccia di trasformare la partita in una resa dei conti, quando non in una caccia all'uomo.
Il motivo? Presto detto. Nel corso della sfida di andata, sin dall'inizio contraddistinta da provocazioni, insulti, scorrettezze e intimidazioni, dentro e fuori dal campo, della Virtus Andria e di un gruppo di suoi tifosi, al punto da indurre il direttore di gara quasi a sospendere il match (mai stato tale, di fatto, in un contesto da guerriglia), un sostenitore molfettese presente in tribuna ha sciaguratamente lanciato in campo una bottiglietta. Questa, incidentalmente, ha colpito un dirigente andriese, prontamente soccorso e medicato.
Sgombriamo il campo da equivoci: la società stigmatizza e ha subito stigmatizzato l'episodio, che non rappresenta in alcun modo i valori da sempre professati dalla Virtus Molfetta. Si è trattato di un gesto sbagliato e censurabile rispetto al quale la società non può comunque essere strettamente responsabile, nella misura in cui non può controllare quanto avviene tra il pubblico, fuori dal campo.
Ciò premesso, non può essere in alcun modo giustificabile un messaggio talmente eloquente da potersi definire già a priori violento.
Parole e intendimenti lontani anni luce dalla nostra idea di sport. Chi gioca a calcio in terza categoria è padre o figlio di famiglia. Accettare di prender parte a una partita in cui già preliminarmente è annunciata una nuova guerriglia, al punto da considerare auspicabile, dalla società andriese, che nemmeno ci si presenti allo stadio, è raccapricciante. E suona davvero beffardo quanto deciso dal giudice sportivo, che si è limitato paradossalmente a sanzionare il nostro club per il lancio della bottiglietta, senza fare nulla contro l'atteggiamento aggressivo avuto dalla Virtus Andria in campo e sugli spalti. Un atteggiamento, teniamo a specificare, che ha spinto intere famiglie, bambini compresi, a lasciare lo stadio terrorizzate. Eppure nulla lasciava pensare che qualcosa del genere potesse accadere, complice l'atteggiamento positivo, quasi mansueto, della Virtus Andria in occasione dell'ultima sfida, coincidente con la finale dei play off, andata in scena poche settimane prima. Non sappiamo cosa sia cambiato nel frattempo. Sicuramente domenica mancavano terna arbitrale, telecamere, attenzione mediatica. E chissà che questo non abbia contribuito a "liberare" certi istinti.
Fatto sta che abbiamo deciso di non presentarci, domani. Ma non lo facciamo perché abbiamo paura. Lo facciamo perché vogliamo avere coraggio. Il coraggio di denunciare, di attribuire delle responsabilità, di dire le cose come stanno. Perché sarà anche Terza Categoria, ma la categoria umana deve, o dovrebbe, valere più di tutte.