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The Dressmaker, l'abito non fa il monaco. O forse sì

Il western al femminile di Jocelyn Moorhouse

Australia 1951, un piccolo villaggio in una landa desolata, ma potrebbe essere ovunque nel mondo. Qui si consumano le vicende di The Dressmaker, ultimo film di Jocelyn Moorhouse con Kate Winslet. Probabilmente il primo e originalissimo film western al femminile. L'arrivo del treno in apertura, il dettaglio delle calzature del protagonista, l'inquadratura dello sguardo rivolto all'orizzonte, gli elementi ci sono tutti e sono tutti coniugati al femminile. Perché questa volta le calzature non sono gli stivali con l'immancabile sperone del cowboy di turno, ma un'elegante scarpa da donna con tacco, in perfetto stile Coco anni 50 e lo sguardo non è quello mitico di Clint Esatwood ma quello di Kate Winslet. L'intera vicenda riguarda la vita del piccolo villaggio di Dungatar sconvolta dalla giovane e ribelle Myrtle "Tilly" Dunnage e della sua strana madre, Molly. Ribellione e eccentricità facilmente fraintese in una cittadina bigotta e ipocrita dove il pregiudizio la fa da padrone. La piccola Tilly allora sceglie di diventar grande altrove, in giro per l'Europa e ritorna, a molti anni di distanza, nelle vesti (di detto e di fatto) di una brillante e affascinante stilista di successo. Un ritorno sulle proprie tracce per capire che quello che l'ha portata lontano è la stessa ragione che l'ha spinta a tornare. Il desiderio di fuggire, a fuga avvenuta, si trasforma in desiderio di vendetta che non nasconde anche la volontà generosa di provare a cambiare le cose (e le menti) ferme nel tempo e incastrate nei preconcetti. Ma certe menti sono talmente serrate che neanche il vento del cambiamento riesce a scardinarle, neppure quel tanto che basterebbe per smussare gli spigoli acuti dei giudizi e delle accuse infondate. Così, anche le migliori intenzioni finiscono per essere fraintese e chi come Tilly ha il talento e il potere di cambiare la gente tessendone le sorti e il destino con ago e filo, verrà assimilata più che alla fatina di Cenerentola ad una parca/strega. A questo punto, la vendetta non lascerà più spazio alla generosità e alla compassione e Tilly from the top of the hill, dalla sommità della sua collina dove vive, deciderà di uscire di scena definitivamente, calpestando un red carpet che ha i toni del rosso sangue e del rosso fuoco.

The Dressmaker è un film curioso. Dal trailer ci si prepara alla visione di una commedia e ci si ritrova sorprendentemente a fare i conti con una tragedia dai risvolti comici nella quale riecheggiano i temi dei drammi shakespeariani, drammi che il film (come il libro di Rosalie Ham da cui è tratto) non perde occasione di citare nel momento in cui i protagonisti si adopereranno per mettere in scena il Macbeth per un concorso teatrale. Da un'altra parte invece le esagerazioni inseriscono ulteriormente il film nel solco della tradizione western, mentre le coincidenze diaboliche gli conferiscono quel tono dark gothic confermando le superstizioni quasi medievali degli abitanti del villaggio, al fine di svelarne il bigottismo. Per contro, la teoria che emerge è quella dell'homo faber, l'uomo artefice del proprio destino, tanto nel successo quanto nelle cadute.

The Dressmaker ha la capacità di avvallare contemporaneamente due tesi opposte. Se per certi versi la storia di Tilly conferma la teoria dell'abito che fa il monaco, allo stesso tempo non è logicamente e automaticamente vero che il diavolo si nasconde dietro un rossetto rosso, una chioma bionda e un paio di tacchi a spillo.

I toni delle personalità e dei caratteri umani sono molto più complessi di come appaiono, talvolta contorti e sicuramente molto sfumati e le ragioni delle loro differenze cromatiche vanno ben oltre la superficie del tessuto con cui sono fatti, sia esso broccato, seta, feltro o percalle.
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