Food Reporter
L'arrivo dell'olio tunisino e lo stereotipo dell'agromafia
Il Made in Italy secondo un reportage di CBS
mercoledì 3 febbraio 2016
Archiviato un anno difficile per il comparto oleario italiano, contrassegnato dall'emergenza Xylella e da scandali e indagini giudiziarie, anche il 2016 sembra darà parecchio filo da torcere.
La prima sorpresa l'ha regalata domenica 3 gennaio 60 minutes, programma di punta della rete televisiva statunitense CBS, con un reportage sull'agromafia in Italia. Partendo dal recente scandalo dell'olio di oliva extravergine adulterato, il servizio lancia sospetti di condizionamento mafioso su tutta la filiera alimentare del "Made in Italy". Nel servizio della CBS, viene intervistato Tom Mueller, giornalista americano che da anni vive in Italia ed è autore del libro Extra Virginity, secondo il quale «è molto difficile dire quante gocce del sangue della mafia ci siano in una bottiglia di olio di oliva». Secondo Mueller, il 75-80% dell'olio extra vergine di oliva di origine italiano venduto in America non è realmente extravergine, mentre la percentuale di quello in vendita in Italia sarebbe intorno al 50%.
A fronte dell'assenza di una posizione ufficiale delle istituzioni italiane, il 25 gennaio scorso tutte le sigle sindacali e associazionistiche del mondo olivicolo oleario sono passate al contrattacco scrivendo al Presidente del Consiglio Renzi, al Ministro dell'agricoltura Martina, al Ministro dello sviluppo economico Guidi e al Direttore generale dell'ICE Luongo. Chiedono «un intervento tempestivo e coordinato a difesa degli interessi delle imprese italiane serie che hanno fatto grande il comparto olivicolo-oleario sui mercati di tutto il mondo" con l'obiettivo di"allontanare dall'immaginario collettivo dei consumatori del Nord America stereotipi negativi del nostro paese, spesso ingenerati da interessi contrari agli sforzi dei nostri imprenditori e che, se non contrastati opportunamente, orienterebbero gli acquisti dei consumatori statunitensi verso prodotti similari aventi origine e nazionalità diverse».
Certo, i rappresentanti delle associazioni ben sanno che il governo italiano non ha poteri di intervento sulla stampa americana, ma toccano un tasto molto sensibile per l'esecutivo Renzi che, da diversi mesi, si è dato come obiettivo i 50 miliardi di export agroalimentare entro pochi anni.
Ma la vera batosta arriva da Bruxelles dove la Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo, lunedì 25 gennaio, ha dato il via libera ad un provvedimento che autorizza un accesso supplementare di olio d'oliva dalla Tunisia nel mercato UE. Il provvedimento, il cui iter è cominciato nel settembre scorso, dovrà essere discusso entro febbraio dall'Assemblea di Strasburgo prima di entrare in vigore, ma poche sembrano le speranze che venga licenziato con un contenuto diverso.
Adottata in segno di solidarietà nei confronti del Paese nordafricano, che riversa in una grave crisi politico-economica esplosa con la Primavera araba nel 2011 e aggravata dagli attacchi terroristici a Sousse del 26 giugno 2015, la misura prevede l'ingresso di 35 mila tonnellate di olio d'oliva tunisino a dazio zero per il 2016 e il 2017. Un contingente in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate già previste dall'accordo di associazione Ue-Tunisia.
Per capire quanto pesa questo contingente suppletivo di olio d'oliva senza dazio, basti pensare che 35 mila tonnellate sono più della metà della produzione portoghese, quasi più del 10% di quella italiana e circa il 20% rispetto all'olio prodotto in Puglia nell'annata 2015. Non solo. Il rischio di frodi e sofisticazione aumenterebbe in misura esponenziale perché l'importazione riguarderebbe tutti i tipi di olio di oliva tunisino per cui non devono essere rispettati quei rigidi requisiti ambientali e fitosanitari cui, invece, devono attenersi i prodotti europei. Si immette così sul mercato italiano un prodotto di discutibile qualità e sicurezza alimentare, oltre a determinare un' evidente concorrenza sleale.
Ma c'è di più. Alcune ONG tunisine non credono che il provvedimento favorirà la Tunisia. Secondo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, l'Unione generale tunisina del lavoro e la Lega tunisina per i diritti umani «questa misura è destinata solo a facilitare le esportazioni tunisine sul mercato europeo per aiutare i produttori dei paesi europei di olio d'oliva a preservare la loro posizione dominante nel mercato globale».
Basti considerare che il potenziale produttivo medio della Tunisia è di 200 mila tonnellate. Far salire il contingente di olio importabile nell'UE senza dazi, dopo l'aumento di 35 mila tonnellate previsto, a 91 mila tonnellate, significa consentire alle imprese olearie europee di controllare il 50% circa del mercato tunisino dell'olio d'oliva. E chi controlla una quota così significativa degli scambi controlla anche il prezzo.
Insomma, Il treno carico di olio d'oliva tunisino è ancora sui binari ma corre sempre più veloce. La partita non è ancora chiusa e l'Italia può ancora esercitare un forte pressing sull'UE per contrastare una misura suicida che affossa un mercato italiano già duramente provato e, a quanto pare, non aiuta neanche la Tunisia trasformandola, piuttosto, in una colonia economica del Terzo Millennio.
La prima sorpresa l'ha regalata domenica 3 gennaio 60 minutes, programma di punta della rete televisiva statunitense CBS, con un reportage sull'agromafia in Italia. Partendo dal recente scandalo dell'olio di oliva extravergine adulterato, il servizio lancia sospetti di condizionamento mafioso su tutta la filiera alimentare del "Made in Italy". Nel servizio della CBS, viene intervistato Tom Mueller, giornalista americano che da anni vive in Italia ed è autore del libro Extra Virginity, secondo il quale «è molto difficile dire quante gocce del sangue della mafia ci siano in una bottiglia di olio di oliva». Secondo Mueller, il 75-80% dell'olio extra vergine di oliva di origine italiano venduto in America non è realmente extravergine, mentre la percentuale di quello in vendita in Italia sarebbe intorno al 50%.
A fronte dell'assenza di una posizione ufficiale delle istituzioni italiane, il 25 gennaio scorso tutte le sigle sindacali e associazionistiche del mondo olivicolo oleario sono passate al contrattacco scrivendo al Presidente del Consiglio Renzi, al Ministro dell'agricoltura Martina, al Ministro dello sviluppo economico Guidi e al Direttore generale dell'ICE Luongo. Chiedono «un intervento tempestivo e coordinato a difesa degli interessi delle imprese italiane serie che hanno fatto grande il comparto olivicolo-oleario sui mercati di tutto il mondo" con l'obiettivo di"allontanare dall'immaginario collettivo dei consumatori del Nord America stereotipi negativi del nostro paese, spesso ingenerati da interessi contrari agli sforzi dei nostri imprenditori e che, se non contrastati opportunamente, orienterebbero gli acquisti dei consumatori statunitensi verso prodotti similari aventi origine e nazionalità diverse».
Certo, i rappresentanti delle associazioni ben sanno che il governo italiano non ha poteri di intervento sulla stampa americana, ma toccano un tasto molto sensibile per l'esecutivo Renzi che, da diversi mesi, si è dato come obiettivo i 50 miliardi di export agroalimentare entro pochi anni.
Ma la vera batosta arriva da Bruxelles dove la Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo, lunedì 25 gennaio, ha dato il via libera ad un provvedimento che autorizza un accesso supplementare di olio d'oliva dalla Tunisia nel mercato UE. Il provvedimento, il cui iter è cominciato nel settembre scorso, dovrà essere discusso entro febbraio dall'Assemblea di Strasburgo prima di entrare in vigore, ma poche sembrano le speranze che venga licenziato con un contenuto diverso.
Adottata in segno di solidarietà nei confronti del Paese nordafricano, che riversa in una grave crisi politico-economica esplosa con la Primavera araba nel 2011 e aggravata dagli attacchi terroristici a Sousse del 26 giugno 2015, la misura prevede l'ingresso di 35 mila tonnellate di olio d'oliva tunisino a dazio zero per il 2016 e il 2017. Un contingente in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate già previste dall'accordo di associazione Ue-Tunisia.
Per capire quanto pesa questo contingente suppletivo di olio d'oliva senza dazio, basti pensare che 35 mila tonnellate sono più della metà della produzione portoghese, quasi più del 10% di quella italiana e circa il 20% rispetto all'olio prodotto in Puglia nell'annata 2015. Non solo. Il rischio di frodi e sofisticazione aumenterebbe in misura esponenziale perché l'importazione riguarderebbe tutti i tipi di olio di oliva tunisino per cui non devono essere rispettati quei rigidi requisiti ambientali e fitosanitari cui, invece, devono attenersi i prodotti europei. Si immette così sul mercato italiano un prodotto di discutibile qualità e sicurezza alimentare, oltre a determinare un' evidente concorrenza sleale.
Ma c'è di più. Alcune ONG tunisine non credono che il provvedimento favorirà la Tunisia. Secondo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, l'Unione generale tunisina del lavoro e la Lega tunisina per i diritti umani «questa misura è destinata solo a facilitare le esportazioni tunisine sul mercato europeo per aiutare i produttori dei paesi europei di olio d'oliva a preservare la loro posizione dominante nel mercato globale».
Basti considerare che il potenziale produttivo medio della Tunisia è di 200 mila tonnellate. Far salire il contingente di olio importabile nell'UE senza dazi, dopo l'aumento di 35 mila tonnellate previsto, a 91 mila tonnellate, significa consentire alle imprese olearie europee di controllare il 50% circa del mercato tunisino dell'olio d'oliva. E chi controlla una quota così significativa degli scambi controlla anche il prezzo.
Insomma, Il treno carico di olio d'oliva tunisino è ancora sui binari ma corre sempre più veloce. La partita non è ancora chiusa e l'Italia può ancora esercitare un forte pressing sull'UE per contrastare una misura suicida che affossa un mercato italiano già duramente provato e, a quanto pare, non aiuta neanche la Tunisia trasformandola, piuttosto, in una colonia economica del Terzo Millennio.