Belle quattro parole
Una crisi allucinante
Povera lingua povera!
domenica 17 marzo 2013
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Stupefacente, straordinario, incredibile, irreale, spaventoso, abominevole o meraviglioso, bellissimo o bruttissimo, in una sola parola: allucinante. Gli aggettivi elencati non sono tutti sinonimi dell'ultimo, rappresentano invece una serie di qualità dall'essenza differente. L'abitudine all'uso costante di un'unica e sempre valida parola esplicita l'incapacità di comunicare causata dall'impoverimento della lingua che usiamo. Gli esperti denunciano da tempo quella che oggi è una preoccupante realtà: la lingua italiana è in crisi. Probabilmente a causa della sua origine letteraria, dotta, elitaria e del suo essere stata imposta agli Italiani come il nuovo stato, come una dominazione straniera all'indomani dell'unità d'Italia, senza essere conosciuta e parlata dalla popolazione, la lingua italiana oggi risente di questo scarso senso di appartenenza che si traduce nell'incapacità di difenderla da attacchi corrosivi. E' vero che le lingue si evolvono e che si nutrono di apporti dai dialetti e dalle altre lingue (la lingua italiana è piena di parole di origine francese, tedesca, araba), ma la nostra rischia di scomparire del tutto perché non è più conosciuta e rispettata nelle sue strutture fondamentali. Una variazione sul tema può essere apprezzata quando il tema lo si conosce!
La nostra lingua si presenta sempre più come una mistura di slang da videogioco e parole straniere, caratterizzata da un uso inappropriato e rarefatto dei vocaboli e da una totale confusione dei registri linguistici che si traduce in una omologazione ed in un imbarbarimento della comunicazione stessa. In un'intervista sullo stato di salute della lingua italiana, Alberto Moravia individuò nella stessa società che dovrebbe parlarlo e che si rifiuta di farlo per rinuncia, populismo, polemica, esibizionismo o anche semplice ignoranza, la causa stessa della crisi della lingua; difatti oggi la capacità retorica di un politico, di un insegnante, di un giornalista ha perso la sua maestà, la sua didattica peculiarità.
La lingua italiana è figlia di un provincialismo declinato in due modi: un attaccamento al proprio campanile considerato sempre il migliore che porta ai localismi linguistici e, di contro, un amore spasmodico per ciò che è estero e che rende la nostra lingua infarcita di anglicismi. La lingua ben usata è un sorriso smagliante, è un pianto dirotto, è il rammarico, è un'accorata richiesta di scuse o di aiuto, è un racconto elegante, è un'immagine ben rappresentata, è un ricordo vivo: è un patrimonio da valorizzare e custodire. Per riflettere un libro dal titolo Quasi una condanna al silenzio di Ettore Randazzo: il racconto del kafkiano processo contro un professore di lettere accusato di aver scritto un pamphlet blasfemo sulla lingua italiana, condannato a non parlarla più per un periodo di tempo, pena «l'ergastolo linguistico».
La nostra lingua si presenta sempre più come una mistura di slang da videogioco e parole straniere, caratterizzata da un uso inappropriato e rarefatto dei vocaboli e da una totale confusione dei registri linguistici che si traduce in una omologazione ed in un imbarbarimento della comunicazione stessa. In un'intervista sullo stato di salute della lingua italiana, Alberto Moravia individuò nella stessa società che dovrebbe parlarlo e che si rifiuta di farlo per rinuncia, populismo, polemica, esibizionismo o anche semplice ignoranza, la causa stessa della crisi della lingua; difatti oggi la capacità retorica di un politico, di un insegnante, di un giornalista ha perso la sua maestà, la sua didattica peculiarità.
La lingua italiana è figlia di un provincialismo declinato in due modi: un attaccamento al proprio campanile considerato sempre il migliore che porta ai localismi linguistici e, di contro, un amore spasmodico per ciò che è estero e che rende la nostra lingua infarcita di anglicismi. La lingua ben usata è un sorriso smagliante, è un pianto dirotto, è il rammarico, è un'accorata richiesta di scuse o di aiuto, è un racconto elegante, è un'immagine ben rappresentata, è un ricordo vivo: è un patrimonio da valorizzare e custodire. Per riflettere un libro dal titolo Quasi una condanna al silenzio di Ettore Randazzo: il racconto del kafkiano processo contro un professore di lettere accusato di aver scritto un pamphlet blasfemo sulla lingua italiana, condannato a non parlarla più per un periodo di tempo, pena «l'ergastolo linguistico».