Belle quattro parole
Femminicidio o femicidio?
Neologismi della violenza italiana
domenica 2 giugno 2013
Nominare qualcosa significa far esistere quella cosa. Un neologismo, una parola nuova, 'femminicidio' addita e svela la faccia di un peccato molto vecchio: la violenza sulle donne. I maltrattamenti fisici, le pressioni psicologiche, i condizionamenti sociali, l'assassinio sono tutti aspetti della violenza perpetrata ai danni della donna in quanto tale, sono esempi di una violenza di genere, illegale ma legittima per via delle consuetudini e della educazione delle società patriarcali.
E' una violenza cinica e sotterranea oppure brutale e selvaggia quella sulle donne, spesso liquidata come esplosione di troppo amore dal momento che è un dato di fatto che gli aguzzini siano i propri cari, quelli che dovrebbero essere gli insospettabili e invece sono i primi colpevoli: il proprio compagno, il proprio padre, il fidanzato, il convivente, l'amante, l'ex. E con essi le altre donne di casa e la società intera. Il movente? Il più delle volte l'aver mandato in frantumi un pilastro del loro immaginario, l'aver trasgredito alle regole dell'ideale di donna da essi gelosamente custodito (la donna obbediente, brava madre e devota moglie, sessualmente disponibile, proiettata verso il partner e poco concentrata su di sé), insomma l'aver praticato la propria autodeterminazione.
Per indicare tutto ciò esistono due parole equivalenti 'femicidio' e 'femminicidio' (rispettivamente di matrice americana e latina) che, con buona pace di chi pensa ad una novità, hanno una storia ventennale. 'Femicidio' è una parola usata dalla criminologa americana Diana Russel nel 1992 come titolo del suo libro Femicide, per l'appunto, in cui dà un nome alla violenza contro le donne, facendo rientrare in questo concetto non solo l'assassinio ma tutte quelle situazioni legate a pratiche misogine che possono avere come esito la morte della donna. Il termine 'femminicidio', del 1993, si deve ad un'antropologa messicana Marcela Lagarde che lo usa per identificare «la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale - che comportano l'impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia».
In molti si chiedono che senso abbia creare una nuova categoria criminale e con essa un nuovo nome, dal momento che il termine omicidio esiste già. Anche quello di uxoricidio esiste già ma come spiegato dalle succitate definizioni la violenza sulle donne implica numerose sfumature che non possono più smarrirsi nelle generalizzazioni. Il 28 maggio la Camera ha approvato con voto unanime il ddl, passato al voto del Senato per la ratifica della Convenzione di Istanbul, un documento che contiene le direttive europee in materia di violenza sulle donne e si concentra sulla prevenzione della violenza domestica, protezione delle vittime e persecuzione dei rei. La Convenzione diverrà esecutiva quando sarà firmata da dieci paesi, otto dei quali membri del Consiglio d'Europa.
Passerà del tempo prima che molte donne abbiano giustizia ma l'Italia comunque ha fatto un primo passo importante, considerato che non esistono neppure dei registri ufficiali che raccolgano i dati delle violenze e tale compito è affidato alle case rifugio e ai centri antiviolenza che perlopiù si rifanno alle denunce degli articoli di cronaca dei giornali.
In questa settimana, mentre i media diffondevano, anche per via dell'episodio di cronaca calabrese, il termine 'femminicidio', moriva una fervente femminista come Franca Rame, di cui condivido il seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=EdJ_LM2tQtM&feature=share.
E' una violenza cinica e sotterranea oppure brutale e selvaggia quella sulle donne, spesso liquidata come esplosione di troppo amore dal momento che è un dato di fatto che gli aguzzini siano i propri cari, quelli che dovrebbero essere gli insospettabili e invece sono i primi colpevoli: il proprio compagno, il proprio padre, il fidanzato, il convivente, l'amante, l'ex. E con essi le altre donne di casa e la società intera. Il movente? Il più delle volte l'aver mandato in frantumi un pilastro del loro immaginario, l'aver trasgredito alle regole dell'ideale di donna da essi gelosamente custodito (la donna obbediente, brava madre e devota moglie, sessualmente disponibile, proiettata verso il partner e poco concentrata su di sé), insomma l'aver praticato la propria autodeterminazione.
Per indicare tutto ciò esistono due parole equivalenti 'femicidio' e 'femminicidio' (rispettivamente di matrice americana e latina) che, con buona pace di chi pensa ad una novità, hanno una storia ventennale. 'Femicidio' è una parola usata dalla criminologa americana Diana Russel nel 1992 come titolo del suo libro Femicide, per l'appunto, in cui dà un nome alla violenza contro le donne, facendo rientrare in questo concetto non solo l'assassinio ma tutte quelle situazioni legate a pratiche misogine che possono avere come esito la morte della donna. Il termine 'femminicidio', del 1993, si deve ad un'antropologa messicana Marcela Lagarde che lo usa per identificare «la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale - che comportano l'impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia».
In molti si chiedono che senso abbia creare una nuova categoria criminale e con essa un nuovo nome, dal momento che il termine omicidio esiste già. Anche quello di uxoricidio esiste già ma come spiegato dalle succitate definizioni la violenza sulle donne implica numerose sfumature che non possono più smarrirsi nelle generalizzazioni. Il 28 maggio la Camera ha approvato con voto unanime il ddl, passato al voto del Senato per la ratifica della Convenzione di Istanbul, un documento che contiene le direttive europee in materia di violenza sulle donne e si concentra sulla prevenzione della violenza domestica, protezione delle vittime e persecuzione dei rei. La Convenzione diverrà esecutiva quando sarà firmata da dieci paesi, otto dei quali membri del Consiglio d'Europa.
Passerà del tempo prima che molte donne abbiano giustizia ma l'Italia comunque ha fatto un primo passo importante, considerato che non esistono neppure dei registri ufficiali che raccolgano i dati delle violenze e tale compito è affidato alle case rifugio e ai centri antiviolenza che perlopiù si rifanno alle denunce degli articoli di cronaca dei giornali.
In questa settimana, mentre i media diffondevano, anche per via dell'episodio di cronaca calabrese, il termine 'femminicidio', moriva una fervente femminista come Franca Rame, di cui condivido il seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=EdJ_LM2tQtM&feature=share.