Religioni
"Tocca a me cercare chi si perde": prima Lectio Divina per i giovani della diocesi
La riflessione di mons. Luigi Mansi in occasione del primo appuntamento per la Quaresima 2020
Andria - venerdì 6 marzo 2020
14.00
In occasione del primo appuntamento quaresimale con la Lectio Divina per i giovani della diocesi di Andria, organizzata dalla Pastorale Giovanile e in programma questa sera, ma rinviata a data da destinarsi a causa dell'emergenza Coronavirus e del conseguente decreto vescovile, mons. Luigi Mansi condivide la riflessione che avrebbe tenuto questa sera in Cattedrale, partendo dal brano del Vangelo di Luca in cui Gesù racconta la parabola della pecorella smarrita.
Lc 15, 1-7
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
RIFLESSIONE
Il brano è l'inizio del capitolo 15 del Vangelo di Luca. Questo Capitolo è come un "Vangelo nel Vangelo", cioè lo potremmo definire senza timore di smentite un vero e proprio concentrato di tutto il Vangelo. Si tratta delle tre parabole della misericordia, delle quali il brano di stasera rappresenta la prima, poi seguita da quella della moneta perduta e ritrovata ed infine di quella, certamente la più famosa, del "figliuol prodigo".
Tutto scaturisce da una nota del narratore, l'evangelista Luca, messa all'inizio del capitolo: "Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro»". Questa nota espone una situazione che, a quanto pare, doveva essere la descrizione di qualcosa che accadeva di frequente intorno a Gesù, cioè che i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo e lui non li scacciava. I peccatori, infatti, non avevano facile accesso accanto alla gente normale, erano conosciuti e perciò disprezzati, scansati, non graditi nei raduni pubblici. Erano truffatori, gente di cattiva reputazione, probabilmente anche donne di facili costumi, erano pubblicani, gente collusa col potere romano e perciò temuta dalla gente, ma tollerata se non proprio protetta dalle autorità. Vivevano perciò nascosti, non si esponevano troppo in pubblico perché potevano andare soggetti a ribellioni e atti di violenza da parte della gente comune.
Ebbene, questa gente, da tutti scansata e da tutti tenuta, si avvicina a Gesù "per ascoltarlo" e Gesù, provocando meraviglia negli Scribi e Farisei, non li manda via. Tanti tra la folla seguivano Gesù spinti dalle più diverse motivazioni. Molti erano spinti dalla curiosità di riuscire a vedere qualche miracolo, visto che ne faceva tanti, lo spettacolo era sempre piacevole. Chi era in situazioni di malattie o di gravi difficoltà di vita lo seguiva con la speranza, nemmeno tanto segreta, di ottenere qualche miracolo. I testi dei vangeli sono pieni di situazioni di questo tipo. I pubblicani e i peccatori, invece, ci dice l'attento evangelista Luca, si avvicinavano a Gesù "per ascoltarlo". Erano insomma curiosi di fronte a Gesù, ma non tanto dei gesti che faceva, quanto delle cose che diceva. Stando allo scorrere del racconto di Luca Gesù aveva già detto cose di un certo rilievo, diverse da quelle che dicevano i maestri del tempo. Ad esempio aveva detto parole del tipo: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno dei cieli", "Guai a voi che ora siete ricchi, che siete sazi". E ancora, parole del tipo: "amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano…". In un'altra occasione in cui si parlava della sua famiglia, aveva detto che suoi parenti sono coloro che ascoltano la sua parola e la mettono in pratica. Insomma Gesù aveva davvero detto cose del tutto nuove rispetto alla predicazione che i rabbini facevano nelle sinagoghe del tempo. E le notizie si erano diffuse. Certo, non c'erano i telefonini che le diffondevano in tempo reale, ma il chiacchiericcio popolare certamente aveva diffuso le novità più rilevanti predicate da questo maestro così diverso da tutti gli altri del tempo.
Dunque, torniamo al nostro racconto, gli scribi e i farisei trovano da ridire sul fatto che Gesù non scaccia questi ascoltatori, pubblicani e peccatori, che si avvicinano per ascoltarlo ma "li riceve" e, addirittura, "mangia con loro" Gesù, infatti, stando ai racconti evangelici, si faceva invitare e addirittura andava volentieri a pranzo da questa gente. A Gesù dunque non sfugge questa critica e, in risposta, si mette a raccontare parabole. Non era, per sé, una novità questa, i maestri del tempo, non amavano fare discorsi difficili e complicati, ma raccontavano storielle attraverso le quali lanciavano messaggi forti. Bisognava tener conto che il livello culturale medio della gente era molto basso, quindi, anche volendo, non si potevano fare discorsi troppo articolati e complessi, nessuno avrebbe capito niente. Gesù in questo si adegua senza problemi.
E andiamo, finalmente, al corpo della parabola, quella che si è abituati a chiamare "della pecorella smarrita". Quello ebreo era un popolo di pastori, quindi una parabola di questo tipo era di facile, anzi, di immediata comprensione. E quella ipotizzata dalla parabola doveva essere una storia abbastanza frequente. Una pecora che si perde, magari si allontana dal suo gregge spinta dalla ricerca di qualcosa di consistente di cui cibarsi. I territori in questione erano in genere semideserti, quindi non c'erano pascoli ricchi ed abbondanti. La ricerca di qualcosa di cui sfamarsi spesso portava portare qualche pecora ad allontanarsi dal gregge e a smarrirsi, a non vedere più accanto a sé il proprio gregge e a non trovare la strada per ricongiungersi ad esso.
Il pastore, a fine giornata, conta le pecore e si accorge che ne manca una. Anzi, probabilmente, come capita ai pastori, non aspetta di contarle, non sono numeri, sono le "sue" pecore, si accorge che ne manca una, perché le ha tutte sempre presenti davanti a sé e perciò subito si rende conto che "quella" manca. Nella pagina del buon pastore, riferita dall'evangelista san Giovanni, Gesù dice che il buon pastore "conosce" le sue pecorelle e addirittura le chiama ciascuna "per nome". Ed è vero, chi conosce l'ambiente delle greggi e dei pastori, sa che è proprio così, i pastori amano spesso mettere il nome alle loro pecore e le sanno riconoscere "una per una", talvolta quasi "dialogano" con loro.
Dunque se ne manca una, questo è un dispiacere, è una preoccupazione per il pastore, a lui anche quella che si è smarrita sta a cuore. Infatti non si rassegna a considerarla perduta ma arriva a compiere un gesto che appare esagerato, coraggioso, addirittura rischioso: lascia le 99 "nel deserto" e si mette alla ricerca di quella perduta. L'amore del pastore per la singola pecora perduta arriva a livelli di vera e propria follia. Infatti lascia le 99 non in un luogo sicuro, nell'ovile, per esempio, ma "nel deserto", che è per natura sua un luogo pieno di pericoli. Per dirla tutta, insomma, quel pastore rischia al suo ritorno con la pecorella ritrovata, di non ritrovare più le altre che, nel frattempo si sono disperse anch'esse.
Ma il suo amore è davvero appassionato, al punto da non calcolare rischi e l'oggettiva e reale possibilità di smarrimento per le altre 99. E quando torna la prima cosa che gli viene in mente è chiamare gli amici e far festa con loro perché la pecora perduta è stata ritrovata. "Allo stesso modo", conclude Gesù, "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione". La parabola giunge al suo vertice, il suo insegnamento: Gesù sa di esser venuto non a "coccolare" i giusti, ammesso che ce ne siano, ma a "cercare" chi si è smarrito. E quando la ritrova, quella smarrita, non le rinfaccia niente, non la "punisce", ma se la mette in spalla e la riporta all'ovile tutto contento, come fosse un trofeo.
Ecco dunque messo ben a fuoco l'atteggiamento di Gesù di fronte al peccato dell'uomo: non è un fustigatore, ma è uno che cerca, che accoglie, che abbraccia e riporta gioioso all'ovile. E vorrei concludere con una nota provocatoria a proposito dell'ovile: È proprio sicuro che all'ovile tutte, ma proprio tutte sono felici di far festa per il ritorno della pecora che si era smarrita? Non è che qualcuna delle 99 si era nel frattempo un po' ingelosita di tutta quell'attenzione del pastore per quella pecora ribelle? Non è che qualcuna già stava pregustando la gioia di vedersi un po' più comoda a godere della propria felicità e di una razione di cibo un po' più abbondante, visto che …c'era una di meno?
Lc 15, 1-7
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
RIFLESSIONE
Il brano è l'inizio del capitolo 15 del Vangelo di Luca. Questo Capitolo è come un "Vangelo nel Vangelo", cioè lo potremmo definire senza timore di smentite un vero e proprio concentrato di tutto il Vangelo. Si tratta delle tre parabole della misericordia, delle quali il brano di stasera rappresenta la prima, poi seguita da quella della moneta perduta e ritrovata ed infine di quella, certamente la più famosa, del "figliuol prodigo".
Tutto scaturisce da una nota del narratore, l'evangelista Luca, messa all'inizio del capitolo: "Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro»". Questa nota espone una situazione che, a quanto pare, doveva essere la descrizione di qualcosa che accadeva di frequente intorno a Gesù, cioè che i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo e lui non li scacciava. I peccatori, infatti, non avevano facile accesso accanto alla gente normale, erano conosciuti e perciò disprezzati, scansati, non graditi nei raduni pubblici. Erano truffatori, gente di cattiva reputazione, probabilmente anche donne di facili costumi, erano pubblicani, gente collusa col potere romano e perciò temuta dalla gente, ma tollerata se non proprio protetta dalle autorità. Vivevano perciò nascosti, non si esponevano troppo in pubblico perché potevano andare soggetti a ribellioni e atti di violenza da parte della gente comune.
Ebbene, questa gente, da tutti scansata e da tutti tenuta, si avvicina a Gesù "per ascoltarlo" e Gesù, provocando meraviglia negli Scribi e Farisei, non li manda via. Tanti tra la folla seguivano Gesù spinti dalle più diverse motivazioni. Molti erano spinti dalla curiosità di riuscire a vedere qualche miracolo, visto che ne faceva tanti, lo spettacolo era sempre piacevole. Chi era in situazioni di malattie o di gravi difficoltà di vita lo seguiva con la speranza, nemmeno tanto segreta, di ottenere qualche miracolo. I testi dei vangeli sono pieni di situazioni di questo tipo. I pubblicani e i peccatori, invece, ci dice l'attento evangelista Luca, si avvicinavano a Gesù "per ascoltarlo". Erano insomma curiosi di fronte a Gesù, ma non tanto dei gesti che faceva, quanto delle cose che diceva. Stando allo scorrere del racconto di Luca Gesù aveva già detto cose di un certo rilievo, diverse da quelle che dicevano i maestri del tempo. Ad esempio aveva detto parole del tipo: "Beati voi, poveri, perché vostro è il regno dei cieli", "Guai a voi che ora siete ricchi, che siete sazi". E ancora, parole del tipo: "amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano…". In un'altra occasione in cui si parlava della sua famiglia, aveva detto che suoi parenti sono coloro che ascoltano la sua parola e la mettono in pratica. Insomma Gesù aveva davvero detto cose del tutto nuove rispetto alla predicazione che i rabbini facevano nelle sinagoghe del tempo. E le notizie si erano diffuse. Certo, non c'erano i telefonini che le diffondevano in tempo reale, ma il chiacchiericcio popolare certamente aveva diffuso le novità più rilevanti predicate da questo maestro così diverso da tutti gli altri del tempo.
Dunque, torniamo al nostro racconto, gli scribi e i farisei trovano da ridire sul fatto che Gesù non scaccia questi ascoltatori, pubblicani e peccatori, che si avvicinano per ascoltarlo ma "li riceve" e, addirittura, "mangia con loro" Gesù, infatti, stando ai racconti evangelici, si faceva invitare e addirittura andava volentieri a pranzo da questa gente. A Gesù dunque non sfugge questa critica e, in risposta, si mette a raccontare parabole. Non era, per sé, una novità questa, i maestri del tempo, non amavano fare discorsi difficili e complicati, ma raccontavano storielle attraverso le quali lanciavano messaggi forti. Bisognava tener conto che il livello culturale medio della gente era molto basso, quindi, anche volendo, non si potevano fare discorsi troppo articolati e complessi, nessuno avrebbe capito niente. Gesù in questo si adegua senza problemi.
E andiamo, finalmente, al corpo della parabola, quella che si è abituati a chiamare "della pecorella smarrita". Quello ebreo era un popolo di pastori, quindi una parabola di questo tipo era di facile, anzi, di immediata comprensione. E quella ipotizzata dalla parabola doveva essere una storia abbastanza frequente. Una pecora che si perde, magari si allontana dal suo gregge spinta dalla ricerca di qualcosa di consistente di cui cibarsi. I territori in questione erano in genere semideserti, quindi non c'erano pascoli ricchi ed abbondanti. La ricerca di qualcosa di cui sfamarsi spesso portava portare qualche pecora ad allontanarsi dal gregge e a smarrirsi, a non vedere più accanto a sé il proprio gregge e a non trovare la strada per ricongiungersi ad esso.
Il pastore, a fine giornata, conta le pecore e si accorge che ne manca una. Anzi, probabilmente, come capita ai pastori, non aspetta di contarle, non sono numeri, sono le "sue" pecore, si accorge che ne manca una, perché le ha tutte sempre presenti davanti a sé e perciò subito si rende conto che "quella" manca. Nella pagina del buon pastore, riferita dall'evangelista san Giovanni, Gesù dice che il buon pastore "conosce" le sue pecorelle e addirittura le chiama ciascuna "per nome". Ed è vero, chi conosce l'ambiente delle greggi e dei pastori, sa che è proprio così, i pastori amano spesso mettere il nome alle loro pecore e le sanno riconoscere "una per una", talvolta quasi "dialogano" con loro.
Dunque se ne manca una, questo è un dispiacere, è una preoccupazione per il pastore, a lui anche quella che si è smarrita sta a cuore. Infatti non si rassegna a considerarla perduta ma arriva a compiere un gesto che appare esagerato, coraggioso, addirittura rischioso: lascia le 99 "nel deserto" e si mette alla ricerca di quella perduta. L'amore del pastore per la singola pecora perduta arriva a livelli di vera e propria follia. Infatti lascia le 99 non in un luogo sicuro, nell'ovile, per esempio, ma "nel deserto", che è per natura sua un luogo pieno di pericoli. Per dirla tutta, insomma, quel pastore rischia al suo ritorno con la pecorella ritrovata, di non ritrovare più le altre che, nel frattempo si sono disperse anch'esse.
Ma il suo amore è davvero appassionato, al punto da non calcolare rischi e l'oggettiva e reale possibilità di smarrimento per le altre 99. E quando torna la prima cosa che gli viene in mente è chiamare gli amici e far festa con loro perché la pecora perduta è stata ritrovata. "Allo stesso modo", conclude Gesù, "ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione". La parabola giunge al suo vertice, il suo insegnamento: Gesù sa di esser venuto non a "coccolare" i giusti, ammesso che ce ne siano, ma a "cercare" chi si è smarrito. E quando la ritrova, quella smarrita, non le rinfaccia niente, non la "punisce", ma se la mette in spalla e la riporta all'ovile tutto contento, come fosse un trofeo.
Ecco dunque messo ben a fuoco l'atteggiamento di Gesù di fronte al peccato dell'uomo: non è un fustigatore, ma è uno che cerca, che accoglie, che abbraccia e riporta gioioso all'ovile. E vorrei concludere con una nota provocatoria a proposito dell'ovile: È proprio sicuro che all'ovile tutte, ma proprio tutte sono felici di far festa per il ritorno della pecora che si era smarrita? Non è che qualcuna delle 99 si era nel frattempo un po' ingelosita di tutta quell'attenzione del pastore per quella pecora ribelle? Non è che qualcuna già stava pregustando la gioia di vedersi un po' più comoda a godere della propria felicità e di una razione di cibo un po' più abbondante, visto che …c'era una di meno?