Testimonianza vocazionale di un giovane frate francescano andriese. <span>Foto Riccardo Di Pietro</span>
Testimonianza vocazionale di un giovane frate francescano andriese. Foto Riccardo Di Pietro
Religioni

Testimonianza vocazionale di un giovane frate andriese

Il racconto dell’esperienza di fra Giuseppe Piarulli alla masseria “Senza Sbarre"

Accogliamo una testimonianza davvero speciale. Ci arriva direttamente da un frate minore francescano di Andria, che attualmente vive nel convento del "Beato Giacomo" di Bitetto, un giovane chiamato ad intraprendere un cammino di vari anni e diversi passaggi talvolta faticosi, ma davvero necessari e fondamentali per diventare frate.
In particolare i giovani frati (in vista dell'ordinazione sacerdotale e della professione solenne) oltre l'impegno principale dello studio (teologia e filosofia), sono coinvolti in varie esperienze missionarie in luoghi formativi (in parrocchia, ospedale, carcere, ecc…). Riportiamo di seguito la commovente testimonianza del giovane fra Giuseppe Piarulli che narra del servizio di volontariato, impegnativo e bello, svolto nella Masseria San Vittore sede del progetto diocesano "Senza Sbarre". Leggendo quanto ha scritto non abbiamo potuto non pensare all'insegnamento di San Francesco che voleva i suoi frati tra i poveri e per i più poveri e dimenticati, strenuo difensore dei deboli e dei miseri.

«Sono fra Giuseppe, un giovane frate minore francescano, originario di Andria, appartenente alla "Provincia religiosa di San Michele Arcangelo" dei frati minori di Puglia e Molise ed attualmente vivo presso la fraternità di post-noviziato, nel convento del "Beato Giacomo" di Bitetto.
Durante il mese di agosto scorso, ho vissuto un'esperienza di lavoro "contemplativo", presso la masseria San Vittore, del Progetto diocesano "Senza Sbarre" di Andria, progetto di ispirazione divina, nata dall'intuizione di don Riccardo Agresti, responsabile della comunità, e don Vincenzo Giannelli.
Il progetto si preoccupa nello specifico di attuare l'esecuzione della misura alternativa al carcere, con l'obiettivo finale della re-integrazione sociale attraverso il lavoro quotidiano.
Quando la mia fraternità formativa mi ha chiesto di fare un'esperienza in una comunità riabilitativa di detenuti, ho avvertito dentro di me un leggero timore, forse preso anche da quei stereotipi che comunemente associamo a questi uomini, ma allo stesso tempo ho sentito di poter donare tanto.
In realtà, arrivato in masseria, tutto quello che si era venuto a creare nella mia mente, è scomparso, lasciando il posto ad una realtà accogliente e familiare.
I ragazzi fin da subito si sono mostrati molto attenti e premurosi nei miei confronti, stupiti dal fatto che un frate rimboccasse le maniche del proprio saio e lavorasse con loro. Le giornate in masseria trascorrono attraverso il lavoro: le stesse mani che nel passato si sono macchiate di reato, ora con l'aiuto di Dio, si prodigano per produrre prodotti di qualità a sostegno dell'intera comunità.
Il lavoro consiste principalmente nella produzione di taralli e pasta fresca e nella coltivazione dei terreni da frutto. Lo scopo del lavoro, per questi uomini come per tutti noi, come scrive anche san Francesco nel suo Testamento, non è per la cupidigia o per la sete del guadagno, per sentirsi qualcuno di importante, il lavoro è, certo, per il proprio sostentamento, ma anche per il bene delle persone, per prolungare l'attività creatrice di Dio e quindi per contribuire alla bellezza del creato.
Vivere in comunione con persone che non fanno parte dello stesso nucleo familiare non è semplice, ancor di più, lo è in un contesto del genere, con uomini che, nella maggior parte dei casi, in passato "sopravvivevano" cercando il modo di prevaricare sugli altri a proprio vantaggio, ora invece gli stessi, si ritrovano in una comunità, diversa dal carcere, dove non c'è bisogno di "fregare" l'altro per sentirsi qualcuno, oppure intimorirlo per sottometterlo. A San Vittore ogni giorno si cerca di far comprendere l'importanza della rieducazione, attraverso l'esempio concreto, dimostrando che una vita onesta e pulita non è un'utopia lontana, ma è un obiettivo possibile attraverso azioni semplici, un cammino fatto di piccoli sacrifici e tanta pazienza.
Quante storie di vita ho ascoltato in questo periodo, quanta sofferenza redenta ho visto negli occhi pentiti di chi è pronto a voltare pagina e ricominciare.
Padri che vorrebbero dimostrare alle loro famiglie, a volte stanche del loro cattivo esempio, che sono rinati e che ora chiedono loro un'altra possibilità, mi hanno confidato che appena terminato il progetto, tornati a casa, vorrebbero restituire, per quanto è possibile, tutto il tempo e la gioia che hanno sottratto al loro prossimo.
Una tra le tante, la storia di un giovane che in passato ha vissuto lunghi periodi in carcere per via di vari furti, e che ora, dopo la perdita della cara mamma, si ritrova a vivere una vita segnata ancora da tanta ingiusta sofferenza e incomprensione familiare, ma che a San Vittore si sente accolto da una famiglia che lo ama e che crede tanto in lui, per quello che è realmente!
E ancora, la storia di un uomo che dopo un omicidio, ha compreso che la sua vita può essere redenta attraverso il dono della sua, a servizio della società.
Tutte queste storie di vita mi hanno segnato profondamente dicendo alla mia vita di consacrato, che non possiamo rimanere chiusi nelle nostre belle comunità, ma dobbiamo uscire, perché il mondo chiede la presenza di persone capaci di ascolto e che colui che sbaglia non è un mostro da tenere al margine della società, ma deve essere riportato in vita, attraverso la nostra attenzione nei loro confronti.
Oggigiorno, viviamo in una società cresciuta sotto tanti aspetti, ma come dice papa Francesco nella sua ultima enciclica "Fratelli tutti", siamo analfabeti nell'accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente.
Di fronte a quell'uomo caduto nelle mani dei briganti, di fronte allo "scarto", spetta a noi non passare oltre, ma fermarci e curargli le ferite , solo così, paradossalmente, possiamo curare anche le nostre.
Anche tu, nel tuo piccolo puoi fare lo stesso, come me, puoi donare il tuo tempo lavorando con e per questi uomini.
Vorrei concludere con una frase di don Oreste Benzi: "L'uomo non è il suo errore. L'errore va punito ma la persona va amata, recuperata e reintegrata nella società".
Grazie per l'attenzione, auguro a tutti buona vita, verso gli "scartati" per rinascere!».
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