Religioni
Mons. Mansi: «L’impegno cristiano manifestato oggi dal segno dei talenti»
L'omelia del vescovo diocesano tenuta oggi per la S. Messa nella Chiesa Cattedrale
Andria - domenica 15 novembre 2020
13.00
Le riflessioni possibili che scaturiscono dalla parola di Dio di questa domenica non sono molto diverse da quelle che già abbiamo fatto domenica scorsa. Stiamo già sottolineando più volte, in queste ultime domeniche dell'anno liturgico, che il tema è sempre lo stesso, cioè quello dell'impegno cristiano, soprattutto di fronte ai doni di Dio. Questo impegno cristiano, domenica scorsa, era significato dall'olio – ricordate – che le ragazze della festa avevano preparato e che quindi si ritrovarono pronte nel momento in cui, in maniera improvvisa, inattesa, quando quasi non aspettavano più nessuno, lo sposo arrivò. Chi era pronto poté entrare alla festa; le ragazze sciocche, invece erano arrivate senz'olio, non entrarono alla festa e non valsero nemmeno i ripetuti inviti, le invocazioni, le richieste di pietà: "Aprici, per favore!". "In verità vi dico: non vi conosco".
Anche il Vangelo di oggi si conclude con una esclusione dalla festa e allora vedete che il tema torna ad essere lo stesso e ci chiede dunque riflessioni che rinnovano e rimotivano l'impegno cristiano. L'impegno cristiano che è manifestato oggi dal segno dei talenti. La parabola dei talenti noi la conosciamo fin troppo bene, perché si spiega ai bambini e la si rispiega tante e tante volte nei vari cicli del catechismo e quindi un po' tutti la conosciamo bene. Dunque, a noi adulti ci giunge questa Parola, ma non ci trova del tutto impreparati; non dobbiamo capire quello che vuol dire perché lo sappiamo bene. Dobbiamo invece chiederci che cosa oggi ci sta dicendo il Signore con questa Parola. Ebbene, quello che vuol dire oggi la Parola, è che dobbiamo verificarci, e fare ciascuno di noi il nostro esame di coscienza, guardando alla storia, la storia che ci circonda, nella quale noi siamo immersi, la storia di questi giorni, una storia di dolore, di tristezza, di tragedia, una storia che ci tocca tutti, una storia che ci porta a restare incollati davanti al televisore per vedere come andava la triste contabilità dei malati, dei ricoveri, dei morti…
Quanti lutti, quante tragedie. Qualcuno potrà dire: "Eh che c'entra questo col Vangelo?". C'entra, eccome che c'entra! Perché basterebbe fare questa osservazione: Ma la coscienza dove sta? Parlare di talenti, in definitiva vuol dire parlare di coscienza. Ecco il discorso dei talenti come c'entra! Il proprio dovere significa fare le cose non per profitto personale, ma per il bene di tutti. Questa è la parabola dei talenti. Allora se io devo prendere delle decisioni che riguardano il bene di tutti, io le devo prendere, non posso dire: "Ma che me ne importa, sono grane…". No! Allora, quello che sta succedendo sotto i nostri occhi è emblematico di una situazione che è diffusa in maniera spaventosa: l'incoscienza. Non si fanno fruttare per il bene i doni di Dio, ma li si sciupano oppure li si utilizzano soltanto per profitto o per interesse personale. Tu fai qualche cosa di sbagliato, credi di farla franca, credi che non se ne accorge nessuno, ti fai il tuo profitto…e invece non è così! Con i doni di Dio, l'intelligenza, le capacità umane, le risorse umane, con i doni di Dio non si scherza, siamo responsabili.
Il Signore dà doni a tutti, chi in un modo, chi in un altro, magari anche nella quantità non uguale per tutti, comunque abbondanti per tutti. Ci dicono gli interpreti della pagina del Vangelo che il talento ai tempi di Gesù era una misura abbondantissima; pensate che equivaleva allo stipendio di trent'anni di lavoro di una famiglia media.
Quindi, quando il Signore nel Vangelo ha dato un talento all'ultimo dei tre, ha dato comunque molto e la parabola questo vuol dire: noi siamo stracolmi dei doni di Dio su tutti i piani, sul piano della vita, sul piano della natura, sul piano della grazia. Quanti doni! Abbondanti! Per tutti! Che cosa ne facciamo? Se siamo come quel servo fannullone, malvagio (gli aggettivi sono pesanti: la prima volta il padrone lo chiama servo malvagio e infingardo, poi dopo, lo chiama fannullone, dunque il quadro è completo: malvagio, infingardo, fannullone). Proprio per la sua malvagità quel servo non ha permesso ai doni di Dio di circolare e di diventare grazia per tutti. Allora – diciamolo francamente – se la nostra storia è molto spesso storia di lacrime, di dolore infinito ed è storia di tragedia, lo è perché ci sono troppi malvagi, infingardi e fannulloni che forse si vestono e si atteggiano pure da cristiani, però con il loro comportamento, con la loro imperdonabile superficialità e leggerezza, con la loro terribile incoscienza provocano davvero dolore immenso all'umanità e di questo il Signore ci chiederà conto. Questi sono i frutti terribili di una società che è quella umana, fondata sull'egoismo. Questi sono i frutti! E poi, ad un certo punto, qualcuno paga e non c'entra niente: questa è la storia degli uomini. Chiediamo al Signore che ci aiuti a fare una coraggiosa verifica e se, per caso, ci accorgiamo che pure noi stiamo sulla soglia della malvagità, che ci aiuti a tornare indietro perché non è giusto che davvero tanta gente soffra per la malvagità degli incoscienti.
+ Luigi Mansi
Vescovo di Andria
Anche il Vangelo di oggi si conclude con una esclusione dalla festa e allora vedete che il tema torna ad essere lo stesso e ci chiede dunque riflessioni che rinnovano e rimotivano l'impegno cristiano. L'impegno cristiano che è manifestato oggi dal segno dei talenti. La parabola dei talenti noi la conosciamo fin troppo bene, perché si spiega ai bambini e la si rispiega tante e tante volte nei vari cicli del catechismo e quindi un po' tutti la conosciamo bene. Dunque, a noi adulti ci giunge questa Parola, ma non ci trova del tutto impreparati; non dobbiamo capire quello che vuol dire perché lo sappiamo bene. Dobbiamo invece chiederci che cosa oggi ci sta dicendo il Signore con questa Parola. Ebbene, quello che vuol dire oggi la Parola, è che dobbiamo verificarci, e fare ciascuno di noi il nostro esame di coscienza, guardando alla storia, la storia che ci circonda, nella quale noi siamo immersi, la storia di questi giorni, una storia di dolore, di tristezza, di tragedia, una storia che ci tocca tutti, una storia che ci porta a restare incollati davanti al televisore per vedere come andava la triste contabilità dei malati, dei ricoveri, dei morti…
Quanti lutti, quante tragedie. Qualcuno potrà dire: "Eh che c'entra questo col Vangelo?". C'entra, eccome che c'entra! Perché basterebbe fare questa osservazione: Ma la coscienza dove sta? Parlare di talenti, in definitiva vuol dire parlare di coscienza. Ecco il discorso dei talenti come c'entra! Il proprio dovere significa fare le cose non per profitto personale, ma per il bene di tutti. Questa è la parabola dei talenti. Allora se io devo prendere delle decisioni che riguardano il bene di tutti, io le devo prendere, non posso dire: "Ma che me ne importa, sono grane…". No! Allora, quello che sta succedendo sotto i nostri occhi è emblematico di una situazione che è diffusa in maniera spaventosa: l'incoscienza. Non si fanno fruttare per il bene i doni di Dio, ma li si sciupano oppure li si utilizzano soltanto per profitto o per interesse personale. Tu fai qualche cosa di sbagliato, credi di farla franca, credi che non se ne accorge nessuno, ti fai il tuo profitto…e invece non è così! Con i doni di Dio, l'intelligenza, le capacità umane, le risorse umane, con i doni di Dio non si scherza, siamo responsabili.
Il Signore dà doni a tutti, chi in un modo, chi in un altro, magari anche nella quantità non uguale per tutti, comunque abbondanti per tutti. Ci dicono gli interpreti della pagina del Vangelo che il talento ai tempi di Gesù era una misura abbondantissima; pensate che equivaleva allo stipendio di trent'anni di lavoro di una famiglia media.
Quindi, quando il Signore nel Vangelo ha dato un talento all'ultimo dei tre, ha dato comunque molto e la parabola questo vuol dire: noi siamo stracolmi dei doni di Dio su tutti i piani, sul piano della vita, sul piano della natura, sul piano della grazia. Quanti doni! Abbondanti! Per tutti! Che cosa ne facciamo? Se siamo come quel servo fannullone, malvagio (gli aggettivi sono pesanti: la prima volta il padrone lo chiama servo malvagio e infingardo, poi dopo, lo chiama fannullone, dunque il quadro è completo: malvagio, infingardo, fannullone). Proprio per la sua malvagità quel servo non ha permesso ai doni di Dio di circolare e di diventare grazia per tutti. Allora – diciamolo francamente – se la nostra storia è molto spesso storia di lacrime, di dolore infinito ed è storia di tragedia, lo è perché ci sono troppi malvagi, infingardi e fannulloni che forse si vestono e si atteggiano pure da cristiani, però con il loro comportamento, con la loro imperdonabile superficialità e leggerezza, con la loro terribile incoscienza provocano davvero dolore immenso all'umanità e di questo il Signore ci chiederà conto. Questi sono i frutti terribili di una società che è quella umana, fondata sull'egoismo. Questi sono i frutti! E poi, ad un certo punto, qualcuno paga e non c'entra niente: questa è la storia degli uomini. Chiediamo al Signore che ci aiuti a fare una coraggiosa verifica e se, per caso, ci accorgiamo che pure noi stiamo sulla soglia della malvagità, che ci aiuti a tornare indietro perché non è giusto che davvero tanta gente soffra per la malvagità degli incoscienti.
+ Luigi Mansi
Vescovo di Andria