Don Felice Bacco
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Mons. Felice Bacco ricorda don Peppe Diana: «Il suo coraggio nel dire quello che pensava»

25 anni fa l'assassinio del parroco che ha combattuto contro la mafia

Un libro per ricordare Don Peppe Diana a 25 anni dalla sua scomparsa. Cinquantadue autori tra i quali Mons. Felice Bacco (originario di Andria e attualmente parroco della Cattedrale di San Sabino a Canosa di Puglia), cinquantadue ricordi, cinquantadue testimonianze, per raccontare un personaggio che ha lottato contro la mafia. Ma anche la storia di una terra che dopo l'uccisione del parroco di Casal di Principe, avvenuta il 19 marzo 1994, ha reagito, resistito, si è riscattata raccogliendo il testimone del sacerdote. È il libro 'Frammenti di memoria. Venticinque anni di cammino nel segno di don Diana' (Marotta&Cafiero editori, casa editrice di Scampia), promosso dal Comitato Don Peppe Diana nell'ambito delle iniziative del 25° anniversario dall'assassinio.

Il libro 'Frammenti di memoria. Venticinque anni di cammino nel segno di don Diana' è stato presentato il 29 gennaio scorso a Casal di Principe in provincia di Caserta nel bene confiscato denominato Casa don Diana, nel corso di un evento al quale hanno partecipato i magistrati anticamorra Antonello Ardituro e Giovanni Conzo, il vescovo di Aversa Angelo Spinillo, il sindaco di Casal di Principe Renato Natale, l'attore Giovanni Granatina, il testimone di giustizia Augusto Di Meo, che vide il killer Peppe Quadrano uccidere don Diana; una delegazione di compagni di seminario di don Giuseppe Diana provenienti dalla Puglia, Mons. Felice Bacco, e docenti di Casal di Principe. Mons. Felice Bacco, accompagnato da una delegazione dell' Associazione IDAC di Canosa, ha parlato del suo ricordo di Don Peppe Diana (nato a Casal di Principe il 4 luglio 1958, assassinato dalla camorra il 19 marzo 1994 a Casal di Principe) durante il seminario a Posillipo. «Un uomo solare, gioviale con una profonda spiritualità e ricchezza interiore che gli permetteva di aver rapporti cordiali autentici con tutti. Il suo coraggio nel dire quello che pensava e nell'operare con coerenza secondo valori in cui credeva, avranno dato fastidio a chi non ama la verità e si nasconde dietro la violenza e la paura».

Tanti hanno accettato di raccontare il 'loro' don Peppe. Chi lo ha conosciuto profondamente e chi ha incontrato i risultati della sua opera. Magistrati, vescovi, ex compagni di seminario, giornalisti, scout, amici. Un libro da leggere per capire una terra, i cambiamenti, i problemi attuali. Prime anticipazioni con alcuni passaggi dei magistrati, di chi indagò sull'omicidio e di chi ha fatto parte della 'squadra' che ha sconfitto il clan dei 'casalesi' che sembrava invincibile.

A partire dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, che per primo arrivò nella chiesa di San Nicola dove il parroco era stato ucciso. «L'omicidio di don Peppe Diana è stato consentito da tutti coloro che prima avevano taciuto. Ma dopo quella morte tanti hanno capito che non era possibile che in una società esistessero uomini capaci di commettere fatti così gravi e che quella stessa società non fosse capace di ribellarsi». E di allora e di oggi scrive anche il giudice Raffaello Magi, estensore della sentenza 'Spartacus', il maxiprocesso ai 'casalesi'. «Noi magistrati di quegli anni lo abbiamo sentito vicino quando, dal 1995 in poi, si è aperta la stagione dei grandi processi, con cui un pezzo di verità è stato riconosciuto a questo territorio. Anche la verità sugli assassini di don Peppe. Ma, in fondo, servono a poco facce e nomi. Serve capire perché, serve capire che la vita 'vera' non è quella di chi spara ma è quella vissuta da don Peppe fino al suo ultimo giorno».

Magistrati che hanno ben compreso il valore dell'impegno del giovane parroco. «Don Diana credeva nella denuncia, ma anche nel perdono e nell'accoglienza – è la riflessione di Giovanni Conzo, allora giovane pm e oggi procuratore aggiunto a Benevento – ed è certamente questa la strada maestra da perseguire per poter trovare un senso. Il senso di un popolo che può cambiare solo trovando pace dinanzi al sangue versato». Ricordi che diventano impegni personali. «Quelle che all'epoca erano posizioni d'avanguardia – scrive Raffaele Cantone, allora pm in prima linea e poi presidente dell'Anac – oggi sono divenute patrimonio comune e l'eco che la vicenda di don Diana ha raggiunto nel tempo, seppure fra esitazioni e colpevoli ritardi, mostra quanta strada sia stata fatta proprio grazie al suo esempio. Ma consentire alla sua stella di continuare a brillare come merita, indicando il cammino, sta solo a noi».

Una storia di vittorie, di cambiamento, ma il cammino è ancora difficile. Così riflette Antonello Ardituro, anche lui pm di quella 'squadra' e poi al Csm. «Venticinque anni non sono trascorsi invano. Occorre spiegarlo ai ragazzi che la terra di don Peppe Diana non è più la stessa, non è il regno del clan, i 'casalesi' sono stati sconfitti». Ma, avverte, «spetta a tutti rileggere gli ultimi anni e trovare una diversa linfa, che consenta di superare quella che ormai troppo spesso appare come una stanca retorica dell'antimafia. Una nuova etica della responsabilità e dei risultati concreti deve aprire una diversa stagione dell'antimafia».

Con il libro 'Frammenti di memoria' che porta il sottotitolo 'venticinque anni di cammino nel segno di don Diana', si vuole aggiungere un tassello al grande mosaico dell'impegno di chi ha operato e non è rimasto chiuso nella rassegnazione di un silenzio doloroso.
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