Speciale
"Madre Natura": l'arte dirompente di Dario Agrimi ad Andria
Intervista all'autore di quest'opera "che esalta la relazione emotiva tra l'esperienza dell'osservatore e la rappresentazione messa in scena"
Andria - domenica 1 settembre 2024
11.30
Un cumulo di macerie con su una bambina in una condizione terribile, triste, di precarietà. È "Madre Natura" l'opera dell'artista Dario Agrimi, installata ad Andria in Piazza Catuma, nell'ambito della 28^ edizione del Festival Castel dei Monti.
Una rappresentazione iperrealista che esalta la relazione emotiva tra l'esperienza dell'osservatore e la rappresentazione messa in scena. Un modo per mettere in guardia l'umanità, incapace di imparare dagli errori del passato. Le macerie, i calcinacci infatti rappresentano la nostra storia. Una riflessione profonda sul genere umano.
Questa mattina abbiamo incontrato, di prim'ora, Dario Agrimi intento a rimaneggiare la sua opera.
Un artista semplice ma dirompente, grazie al suo modo di esprimersi. Studia, pianifica e realizza con cura le sue opere, caratterizzate da un deciso sarcasmo e dallo spiazzamento percettivo.
Docente di tecniche pittoriche all'accademia di belle arti di Roma con una passione smisurata per l'arte che trasmette con sapienza anche ai suoi allievi.
Il Festival Castel dei Monti si è trasformato in un appuntamento consueto per l'artista tranese, che vede per la terza volta consecutiva la sua partecipazione «Ringrazio Francesco Fisfola, la direzione del Festival,il Sindaco e la città di Andria. Per me è un onore essere di nuovo qui con quest'opera» dichiara l'artista.
In cosa consiste "Madre Natura? «Una bambina in una condizione terribile, una condizione triste, una condizione di precarietà. Dovrebbe portare a pensare e ad utilizzare la storia come uno strumento di prevenzione».
Da dove ha tratto ispirazione? «Sono stato ispirato da tutti gli accadimenti degli ultimi anni. Il genere umano sta portando alla disfatta questo pianeta attraverso distruzione, incuria, guerre e tanto altro e quindi la fonte di ispirazione è il contesto sociale in cui viviamo. Ora non dico che noi viviamo in guerra ma siamo bombardati da questo tipo di notizie e siamo comunque a conoscenza di quella che è la situazione in diversi paesi del mondo».
Sta già lavorando a qualche altro progetto?
«Ovviamente una volta realizzata l'opera è archiviata, come fatta e quindi sto già pensando alle prossime cose»
Dopo una breve intervista sulla sua ultima opera, abbiamo colto l'occasione per sapere qualcosa in più su di lui.
Cos'è per lei l'arte?
«L'arte è un qualcosa che il genere umano ha nel suo DNA. Se pensi alle pitture rupestri dove gli uomini primitivi raccontavano usi e costumi di quella che era la società di quel momento. Quella è considerata la prima forma d'arte. L'arte è qualcosa che noi abbiamo dentro – e puntualizza - che possa essere coltivata o meno in questo momento storico la dice molto lunga su quelle che sono le prospettive per il futuro. Nel senso che nel momento in cui si ha la tendenza a togliere dove c'è cultura, a andare dove non ce n'è e a far sembrare apparentemente tutto alla portata di tutti, ad esempio vedi piattaforme dove si può diventare musicisti senza aver studiato musica, o addirittura dove puoi creare arte e diventare un pittore famoso senza aver fatto mai un quadro. Questa prospettiva poco lungimirante è sinonimo di deriva sociale dal mio punto di vista - continua - Ora io faccio quello che posso al massimo delle mie possibilità, se viene capito, ebbene, se non viene capito vuol dire che posso fare. meglio per cercare di renderlo più fruibile e quindi mi impegnerò dalla prossima a fare un qualcosa di più, in questo caso, digeribile, visto che qui si parla di un qualcosa di pubblico, quindi c'è una visione diciamo empatica del realizzare l'opera d'arte»
Da docente, qual è, secondo lei il rapporto tra i giovani e la cultura?
«Il telefonino toglie tempo e crea un paradosso. Ad esempio , quando abbiamo un dubbio, un interrogativo, lo andiamo a cercare su una piattaforma e troviamo il significato, senza alcuno sforzo. Guardiamo gente che diventa apparentemente famosa per un attimo come disse Andy Warhol nel ventunesimo secolo saranno tutti famosi per un quarto d'ora e ci accontentiamo di quello – precisa – E' entrato nella testa delle persone, questo sbagliatissimo cliché che non smetterò mai di ripeterlo, che è "il chi si accontenta gode. Noi abbiamo preso per buono il chi si accontenta gode che in realtà è una assurdità per poter giustificare la mancanza di successo. Chi non si accontenta va avanti, crea le cose a partire dalla ruota ad arrivare in realtà al telefonino. Quindi non bisogna accontentarsi mai, se ora stiamo facendo un'intervista e io sto facendo una scultura eccetera eccetera è perché tu non ti sei accontentata io non mi sono accontentato e qualcun altro non si è accontentato e quindi ha creato un telefono, un microfono una maglietta, una macchina per farmi arrivare qui»
Quale consiglio dà ai giovani di oggi?
«Un consiglio da dare sicuramente è farvi una domanda fondamentale quanto tempo della vostra vita siete disposti a sacrificare per diventare quello che volete diventare? A un certo punto ti chiedi che cosa hai fatto fino a quel momento? Se la risposta è niente, quello che resta di te sarà niente»
Una rappresentazione iperrealista che esalta la relazione emotiva tra l'esperienza dell'osservatore e la rappresentazione messa in scena. Un modo per mettere in guardia l'umanità, incapace di imparare dagli errori del passato. Le macerie, i calcinacci infatti rappresentano la nostra storia. Una riflessione profonda sul genere umano.
Questa mattina abbiamo incontrato, di prim'ora, Dario Agrimi intento a rimaneggiare la sua opera.
Un artista semplice ma dirompente, grazie al suo modo di esprimersi. Studia, pianifica e realizza con cura le sue opere, caratterizzate da un deciso sarcasmo e dallo spiazzamento percettivo.
Docente di tecniche pittoriche all'accademia di belle arti di Roma con una passione smisurata per l'arte che trasmette con sapienza anche ai suoi allievi.
Il Festival Castel dei Monti si è trasformato in un appuntamento consueto per l'artista tranese, che vede per la terza volta consecutiva la sua partecipazione «Ringrazio Francesco Fisfola, la direzione del Festival,il Sindaco e la città di Andria. Per me è un onore essere di nuovo qui con quest'opera» dichiara l'artista.
In cosa consiste "Madre Natura? «Una bambina in una condizione terribile, una condizione triste, una condizione di precarietà. Dovrebbe portare a pensare e ad utilizzare la storia come uno strumento di prevenzione».
Da dove ha tratto ispirazione? «Sono stato ispirato da tutti gli accadimenti degli ultimi anni. Il genere umano sta portando alla disfatta questo pianeta attraverso distruzione, incuria, guerre e tanto altro e quindi la fonte di ispirazione è il contesto sociale in cui viviamo. Ora non dico che noi viviamo in guerra ma siamo bombardati da questo tipo di notizie e siamo comunque a conoscenza di quella che è la situazione in diversi paesi del mondo».
Sta già lavorando a qualche altro progetto?
«Ovviamente una volta realizzata l'opera è archiviata, come fatta e quindi sto già pensando alle prossime cose»
Dopo una breve intervista sulla sua ultima opera, abbiamo colto l'occasione per sapere qualcosa in più su di lui.
Cos'è per lei l'arte?
«L'arte è un qualcosa che il genere umano ha nel suo DNA. Se pensi alle pitture rupestri dove gli uomini primitivi raccontavano usi e costumi di quella che era la società di quel momento. Quella è considerata la prima forma d'arte. L'arte è qualcosa che noi abbiamo dentro – e puntualizza - che possa essere coltivata o meno in questo momento storico la dice molto lunga su quelle che sono le prospettive per il futuro. Nel senso che nel momento in cui si ha la tendenza a togliere dove c'è cultura, a andare dove non ce n'è e a far sembrare apparentemente tutto alla portata di tutti, ad esempio vedi piattaforme dove si può diventare musicisti senza aver studiato musica, o addirittura dove puoi creare arte e diventare un pittore famoso senza aver fatto mai un quadro. Questa prospettiva poco lungimirante è sinonimo di deriva sociale dal mio punto di vista - continua - Ora io faccio quello che posso al massimo delle mie possibilità, se viene capito, ebbene, se non viene capito vuol dire che posso fare. meglio per cercare di renderlo più fruibile e quindi mi impegnerò dalla prossima a fare un qualcosa di più, in questo caso, digeribile, visto che qui si parla di un qualcosa di pubblico, quindi c'è una visione diciamo empatica del realizzare l'opera d'arte»
Da docente, qual è, secondo lei il rapporto tra i giovani e la cultura?
«Il telefonino toglie tempo e crea un paradosso. Ad esempio , quando abbiamo un dubbio, un interrogativo, lo andiamo a cercare su una piattaforma e troviamo il significato, senza alcuno sforzo. Guardiamo gente che diventa apparentemente famosa per un attimo come disse Andy Warhol nel ventunesimo secolo saranno tutti famosi per un quarto d'ora e ci accontentiamo di quello – precisa – E' entrato nella testa delle persone, questo sbagliatissimo cliché che non smetterò mai di ripeterlo, che è "il chi si accontenta gode. Noi abbiamo preso per buono il chi si accontenta gode che in realtà è una assurdità per poter giustificare la mancanza di successo. Chi non si accontenta va avanti, crea le cose a partire dalla ruota ad arrivare in realtà al telefonino. Quindi non bisogna accontentarsi mai, se ora stiamo facendo un'intervista e io sto facendo una scultura eccetera eccetera è perché tu non ti sei accontentata io non mi sono accontentato e qualcun altro non si è accontentato e quindi ha creato un telefono, un microfono una maglietta, una macchina per farmi arrivare qui»
Quale consiglio dà ai giovani di oggi?
«Un consiglio da dare sicuramente è farvi una domanda fondamentale quanto tempo della vostra vita siete disposti a sacrificare per diventare quello che volete diventare? A un certo punto ti chiedi che cosa hai fatto fino a quel momento? Se la risposta è niente, quello che resta di te sarà niente»