antico macchinario per la lavorazione tessile
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Commento

La “Tessitura Sterlicchio”: quando Andria poteva vantare una tradizione industriale

L'ambientalista Nicola Montepulciano ripercorre una pagina sconosciuta ai più, di un’antica fabbrica non più esistente

Nella nostra città, sino alla fine degli ultimi anni '60, vi era una fiorente industria tessile creata dal sig. Vincenzo Sterlicchio. Nato in Andria il 30 agosto 1892 da Giuseppe (1859 – 1941) e Nicoletta Bartolomeo (1865 – 1915), lavorò probabilmente sin da giovane nella piccola attività tessile paterna, che poi ereditò e ampliò fino a realizzare un vero e proprio opificio. Sposò Grazia Sgaramella, che, nell'ambito dell'opificio, divenne solerte e fattiva collaboratrice. E' molto probabile che il padre di Vincenzo, Giuseppe, abbia iniziato la sua attività tessile come filatore o tessitore, poiché in quell'epoca in Andria, come in buona parte della Puglia, si coltivava il cotone.

Da ricerche archivistiche sappiamo che nella nostra città molte persone, prevalentemente donne, si dedicavano alla filatura del cotone. Che in Andria si coltivasse cotone lo si deduce dal libro "Briganti di Corato" (Pasquale Tandoi – Dic 1994), dove a pag. 142 si legge: "Quella gente andò via sulla strada che mena alle murge ed io invitai il contadino Salvatore Balducci, che stava raccogliendo bombacia (cotone) lì vicino (masseria Rivera, Andria) a venire… (8 ago 1863)". Vi sono vari testi che ci dicono che in Puglia si coltivava, sin da epoche antiche, cotone. Nel libro di Scipione Mazzella pubblicato verso la fine del 1500 "Descrittione del Regno di Napoli", capitolo Terra di Bari, ottava provincia del Regno di Napoli" si legge: "La fertilità e bontà di questa Provincia è molto grande, percio ché produce grano, vino, olio, fave, ceci…bombace (cotone). Anche nel libro "Viaggio nel Regno di Napoli" del conte svizzero Carlo Ulisse de Salis Marschlins 1789, da pag. 117 si descrive la coltivazione del cotone in Puglia e precisamente in tutta la provincia di Taranto, dalla semina fino alla maturazione, settembre, quando si formano le "capsule" <<…il primo procedimento dopo il raccolto consiste nel separare il cotone dal seme, e viene praticato per mezzo di una macchinetta chiamata "manganella" o "scanella">>, che riporta in disegno a pag. 120. Anch'io, che descrivo questa ricerca, possiedo questa "macchinetta" (spero che non sia un esemplare rarissimo) e ve la mostro in fotografia. Questa, insieme alle ricerche archivistiche relative alle donne filatrici e alle fabbriche tessili del cotone, dimostra che in Andria si svolgeva il processo completo che riguarda il cotone (semina, coltivazione, produzione, estrazione, filatura e lavorazione successiva sino alla formazione dei vari manufatti tessili). La coltivazione del cotone dalla fine del 1800 cominciò a diminuire fino a cessare man mano del tutto e questo per vari motivi, fra cui "spaventose siccità" che cominciarono a verificarsi proprio a partire dalla fine del 1800, a causa dei pazzeschi abbattimenti di boschi, avvenuti fra il 1860 e 1880, che nella provincia di Bari ne causò la perdita di oltre 30.000 ettari. Verosimilmente in tutta la Puglia andarono distrutti circa 100.000 ettari fra boschi e macchie boschive. Il cotone ha bisogno di acqua nel periodo primaverile per poi maturare nel periodo estivo. Ma "le prolungate siccità", allora come adesso, non portavano acqua né in primavera, né in estate. Vi è poi da aggiungere l'invenzione delle fibre tessili artificiali che sconvolse il secolare mercato.

L'opificio fu costruito nel 1912 in viale Trentino n° 21 ed esiste, come struttura muraria, ancora oggi. Aveva una superficie di circa 700mq su piano terra, dove c'era un orditoio ed una ventina di telai meccanici (attrezzature comprate in Svizzera dalla madre di Vincenzo Sterlicchio, Bartolomeo Nicoletta) per la tessitura, onde ricavarne stoffa. Inoltre, comprendeva un'ala destinata alla tintoria dove un tintore (Giuseppe Sterlicchio, fratello di Vincenzo) tingeva le matasse di puro cotone grezzo, importato dall'Egitto, in balle, uno dei migliori al mondo. Sempre a piano terra vi era anche un grande reparto per la vendita della stoffa al dettaglio e all'ingrosso.
Nel reparto tintoria le matasse di cotone grezzo venivano "cotte", sbiancate e poi tinte con vari colori naturali in grandi vasche di cemento, appositamente costruite. Successivamente le matasse venivano trasportate su un ampio terrazzo dove, su apposite travi di legno, erano messe ad asciugare all'aria aperta. Una volta asciugate le matasse passavano al reparto filatura, che consisteva nell'accoppiare e ritorcere diversi fili di cotone al fine di ottenere, sotto forma di fusi e rocchetti, i fili necessari per la tessitura.
La tessitura vera e propria consisteva nell'incrociare una serie di fili tutti uguali disposti in senso longitudinale, che costituivano l'ordito, con fili trasversali che venivano inseriti nell'ordito per mezzo delle navette e che costituivano la trama. Questa operazione veniva effettuata mediante telai meccanici, detti Jacquard, dove una scheda perforata comandava il movimento dei licci permettendo l'esecuzione di disegni vari. Man mano che il lavoro procedeva c'era lo srotolamento dell'ordito e l'arrotolamento del tessuto realizzato. L'ultima operazione era la finitura del tessuto con l'eliminazione di fili superflui. La stoffa veniva poi arrotolata per essere messa in vendita.

Si producevano stoffe per confezionare i materassi con una vasta gamma di colori e disegni; il tessuto era molto resistente. Inoltre si tessevano tovaglie rustiche, copertine, strofinacci e un tessuto chiamato "rigatino", di colore blu, molto resistente (simile alla tela "blue jeans"), che serviva per confezionare pantaloni da lavoro, molto richiesto da contadini e operai meccanici. Una signora dell'alta borghesia di Andria, nei primi anni '50 del secolo scorso acquistò questa tela per confezionare pantaloni per i propri figli, destando molta sorpresa nel sig. Vincenzo, che, evidentemente, non sapeva che era da poco nata la moda dei pantaloni blue jeans. Forse i figli della signora furono fra i primi a seguire la moda jeans nella nostra città.

L'opificio comprendeva anche un'officina meccanica per la manutenzione ed eventuale riparazione dei macchinari in caso di guasti, affidata al sig. Giuseppe, fratello di Vincenzo titolare della fabbrica. Insieme al capo meccanico lavorava un aiuto meccanico di nome Riccardo. Il sig. Giuseppe realizzava anche i disegni e controllava le varie schede per ottenere diversi tipi di stoffa e gestiva la contabilità dell'officina e del reparto tessitura. Le stoffe venivano inviate in diverse città italiane, compresa Genova. Il sig. Vincenzo si occupava della contabilità finanziaria e la moglie Grazia della vendita commerciale.
Nell'industria tessile lavoravano circa 50 operaie, alle quali non era richiesta l'istruzione ma la precisione e l'impegno. Svolgevano otto ore di lavoro al giorno, distribuito fra mattina e pomeriggio, dal lunedì al sabato. Erano retribuite a dovere con versamenti di contributi (che all'epoca venivano chiamate marchette). Quando decidevano di sposarsi, si licenziavano e veniva versata la "buonuscita" (oggi si dice Trattamento di Fine Rapporto) ed in più avevano in regalo la stoffa per realizzare quattro materassi.

Nel mese di maggio le operaie smettevano di lavorare mezz'ora prima per la recita del Rosario, davanti ad un altarino con la statua della Madonna, guidato, come ci riferisce la signora Susanna Del Monaco da sua nonna Grazia, che tanto collaborava alla conduzione dell'industria. Nello stesso periodo di tempo, oltre alla tessitura di Vincenzo Sterlicchio, operava, sempre in Andria, la tessitura di Domenico Sterlicchio (fratello di Vincenzo) con la collaborazione della moglie Giovina Antolini; la sede era in via Torquato Tasso. La tessitura di Vincenzo Sterlicchio, che molto incrementò l'economia andriese dando lavoro ai cittadini andriesi sia direttamente che indirettamente (oggi si direbbe "indotto", es.: venditori delle lane per materassi e cuscini, materassaie, etc.), fu chiusa alla fine degli anni sessanta, non essendoci eredi maschi che potessero continuare l'attività. I macchinari furono tutti rottamati, non se ne salvò uno. Questo ha determinato la perdita della memoria di questa benemerita industria locale; non vi sono, purtroppo, neanche fotografie dei macchinari e delle maestranze dell'opificio intenti al lavoro. Termina così la generazione degli Sterlicchio tessitori che ha impegnato la sua vita nel lavoro onesto. Tuttavia, questa ricerca qui riportata costituisce una vera e propria testimonianza, sia pure verbale, poiché è stata possibile grazie alla testimonianza della gentilissima signora Susanna Del Monaco, figlia di Nicoletta Sterlicchio (di Vincenzo e Grazia Sgaramella), andata sposa al dott. Nicola Del Monaco. La signora Del Monaco, che ha ereditato una parte dello stabile in cui vi era l'azienda tessile, da giovanissima prestò la sua opera nella fabbrica del nonno. Un'altra preziosa testimonianza è stata offerta dall'amico gentilissimo signor Antonio Carlo Sterlicchio, figlio di Giuseppe, manutentore dei macchinari dell'opificio tessile. A loro va il mio sentitissimo Grazie.
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