Vita di città
L’inverno dei senzatetto: ad Andria la rete sociale funziona per la cura delle persone senza fissa dimora
Dal 2015 nella Casa Accoglienza della Diocesi sono all’incirca 60, il 90% andriesi
Andria - martedì 7 febbraio 2023
11.31
Alla fine il freddo è arrivato e a farne le spese sono i cosiddetti invisibili, ovvero i più poveri, coloro che vivono in strada, senza alcuna possibilità di accedere a un riparo. Come ogni anno, le cronache ci riportano casi di sistemazioni precarie sui marciapiedi, nelle stazioni e sotto i portici delle città, oppure di persone decedute di ipotermia nell'indifferenza collettiva. Nell'inverno più freddo, però, ad Andria c'è il calore di una rete sociale che funziona. Questa affermazione trova conferma nelle parole di don Geremia Acri al quale abbiamo chiesto come sta gestendo, in questo periodo, l'emergenza freddo tra i senzatetto e i volontari della Casa Accoglienza della Diocesi di Andria."
Tra i servizi offerti dai privati, dalla nostra Casa Accoglienza e da altre associazioni locali, fortunatamente non abbiamo riscontrato problemi connessi all'emergenza freddo. Garantiamo costantemente accoglienza notturna, in ogni periodo dell'anno" – dichiara don Geremia – "Se dovessero emergere problemi di qualsiasi entità, immediatamente mi interfaccio con funzionari e assistenti sociali. E il problema si cerca di affrontarlo insieme, nel migliore dei modi. Il nostro territorio, tra gli immigrati e gli italiani che non hanno una residenza, non presenta numeri importanti. Mentre per gli immigrati storici che vivono ad Andria da 30/40 anni e senza dimora, hanno dei rifugi nei quali vivono abbastanza bene. In generale, in Italia il sistema welfare è buono, perché non lascia nessuno per strada. Soprattutto in presenza di vulnerabili, minori e donne, i Comuni sono obbligati a tutelare quelle persone. Quindi se alcuni vivono per strada, vuol dire che le proposte fatte sono state tutte rifiutate. Inoltre, coloro che non hanno residenza non hanno la possibilità di accedere ad alcun diritto, tipo in ambito sanitario oppure sono esclusi dal diritto di voto. Nella nostra città si sta attuando l'indirizzo fittizio ovvero quella fissata in un luogo del quale un soggetto ha la disponibilità ma nel quale non trascorre la sua vita, così da poter iscriversi nel sistema sanitario nazionale e, in generale, di usufruire di qualsiasi diritto e dovere".
Nel dettaglio, secondo le ultime statistiche, nella Casa di Accoglienza della Diocesi di Andria sono all'incirca 60 persone (compresi i nuclei) dal 2015/2016 al 2022/2023, il 90% sono andriesi. Le soluzioni adottate sono state diverse a seconda dei casi. "La maggior parte intraprende percorsi di autonomia abitativa e lavorativa" – afferma Acri – "alcuni invece a causa di varie dipendenze vengono accompagnati in comunità di accoglienza, alloggi sociali, rsa, hospice; infine altri ancora vengono rimpatriati o per meglio dire riaccompagnati nella loro terra e casa". Don Geremia puntualizza, inoltre, che vivere senza un'abitazione a volte è una scelta, a volte è per indigenza.
"Una percentuale di senzatetto decide liberamente di vivere per strada per scelta propria, per sentirsi liberi o per un senso di avversione alle regole della società, mentre altri abbandonano strutture psichiatriche oppure sono usciti da una lungo degenza anche di altro tipo e non hanno più avuto il modo di sostentarsi e di continuare ad abitare in casa propria. All'improvviso o progressivamente a non avere più soldi per casa, affitto, bollette ed altro" – prosegue Acri – "Ci sono poi le persone che fuggono dall'abuso domestico non solo fisico ma anche psicologico. Tra le altre cause si include la perdita del posto di lavoro, il divorzio che crea danni soprattutto ai padri separati che sono finiti sul lastrico e per strada per non aver avuto la possibilità di pagare a fine mese contemporaneamente le spese di: mantenimento alla ex moglie, mantenimento ai figli, spese legali, affitto, bollette e mangiare se non si ha più la fortuna di avere i genitori viventi. Non si sceglie anzi mai di dormire e vivere per strada.
Sono davvero pochi che lo fanno per scelta" – afferma don Geremia – " Tuttavia noi arginiamo la povertà attivando percorsi di autonomia lavorativa, libertà e indipendenza. Sono tappe ben precise, fatte di regole e di tempi da rispettare. Il fine? renderli liberi. Perché chi vive in uno stato di indigenza va stimolato. Ad esempio, ho liberato dieci immigrati dandogli un lavoro e quindi una indipendenza. I valori cristiani vanno rispettati. Bisogna ampliare il concetto di cura nei loro confronti. Dobbiamo spronare quei laici cattolici che sono impegnati nei ruoli pubblici e istituzionali, ricordando loro che non viviamo solo di fede cristiana, ma anche di valori cristiani: tutta la cultura biblica ci parla di accoglienza e di tutela delle persone più fragili.
Molto probabilmente a rendere la vita difficile a queste persone non sono solo le temperature invernali, ma anche il gelo dei pregiudizi che spesso incontrano nella loro vita quotidiana. Le persone senza fissa dimora non contando su un luogo dove rifugiarsi, sono più esposti agli attacchi, all'emarginazione e a diverse forme di violenza psicologica e fisica. Molti vengono etichettati come "asociali" e "pericolosi" cosa che rende loro ancora più difficile ricostruirsi una vita.
"Ci vuole più coraggio!" – esclama don Geremia - "La solidarietà non si deve limitare ai social. La solidarietà si pratica. E' concretezza come la carità. Tutti abbiamo paura, ma la paura si sconfigge affrontandola. Il Bene è contagioso. Abbiamo dimenticato nella nostra cultura i valori del cristianesimo, come l'accoglienza, il rispetto, la solidarietà, della sussidiarietà: principi scritti in quasi in tutte le costituzioni dei Paesi dell'Unione Europea. Bisogna allargare i confini del proprio io, del proprio sé, la capacità di sentire insieme all'altro il dolore e la gioia. Questo solo indica il riconoscimento in una comune umanità a cui tutti apparteniamo".
Tra i servizi offerti dai privati, dalla nostra Casa Accoglienza e da altre associazioni locali, fortunatamente non abbiamo riscontrato problemi connessi all'emergenza freddo. Garantiamo costantemente accoglienza notturna, in ogni periodo dell'anno" – dichiara don Geremia – "Se dovessero emergere problemi di qualsiasi entità, immediatamente mi interfaccio con funzionari e assistenti sociali. E il problema si cerca di affrontarlo insieme, nel migliore dei modi. Il nostro territorio, tra gli immigrati e gli italiani che non hanno una residenza, non presenta numeri importanti. Mentre per gli immigrati storici che vivono ad Andria da 30/40 anni e senza dimora, hanno dei rifugi nei quali vivono abbastanza bene. In generale, in Italia il sistema welfare è buono, perché non lascia nessuno per strada. Soprattutto in presenza di vulnerabili, minori e donne, i Comuni sono obbligati a tutelare quelle persone. Quindi se alcuni vivono per strada, vuol dire che le proposte fatte sono state tutte rifiutate. Inoltre, coloro che non hanno residenza non hanno la possibilità di accedere ad alcun diritto, tipo in ambito sanitario oppure sono esclusi dal diritto di voto. Nella nostra città si sta attuando l'indirizzo fittizio ovvero quella fissata in un luogo del quale un soggetto ha la disponibilità ma nel quale non trascorre la sua vita, così da poter iscriversi nel sistema sanitario nazionale e, in generale, di usufruire di qualsiasi diritto e dovere".
Nel dettaglio, secondo le ultime statistiche, nella Casa di Accoglienza della Diocesi di Andria sono all'incirca 60 persone (compresi i nuclei) dal 2015/2016 al 2022/2023, il 90% sono andriesi. Le soluzioni adottate sono state diverse a seconda dei casi. "La maggior parte intraprende percorsi di autonomia abitativa e lavorativa" – afferma Acri – "alcuni invece a causa di varie dipendenze vengono accompagnati in comunità di accoglienza, alloggi sociali, rsa, hospice; infine altri ancora vengono rimpatriati o per meglio dire riaccompagnati nella loro terra e casa". Don Geremia puntualizza, inoltre, che vivere senza un'abitazione a volte è una scelta, a volte è per indigenza.
"Una percentuale di senzatetto decide liberamente di vivere per strada per scelta propria, per sentirsi liberi o per un senso di avversione alle regole della società, mentre altri abbandonano strutture psichiatriche oppure sono usciti da una lungo degenza anche di altro tipo e non hanno più avuto il modo di sostentarsi e di continuare ad abitare in casa propria. All'improvviso o progressivamente a non avere più soldi per casa, affitto, bollette ed altro" – prosegue Acri – "Ci sono poi le persone che fuggono dall'abuso domestico non solo fisico ma anche psicologico. Tra le altre cause si include la perdita del posto di lavoro, il divorzio che crea danni soprattutto ai padri separati che sono finiti sul lastrico e per strada per non aver avuto la possibilità di pagare a fine mese contemporaneamente le spese di: mantenimento alla ex moglie, mantenimento ai figli, spese legali, affitto, bollette e mangiare se non si ha più la fortuna di avere i genitori viventi. Non si sceglie anzi mai di dormire e vivere per strada.
Sono davvero pochi che lo fanno per scelta" – afferma don Geremia – " Tuttavia noi arginiamo la povertà attivando percorsi di autonomia lavorativa, libertà e indipendenza. Sono tappe ben precise, fatte di regole e di tempi da rispettare. Il fine? renderli liberi. Perché chi vive in uno stato di indigenza va stimolato. Ad esempio, ho liberato dieci immigrati dandogli un lavoro e quindi una indipendenza. I valori cristiani vanno rispettati. Bisogna ampliare il concetto di cura nei loro confronti. Dobbiamo spronare quei laici cattolici che sono impegnati nei ruoli pubblici e istituzionali, ricordando loro che non viviamo solo di fede cristiana, ma anche di valori cristiani: tutta la cultura biblica ci parla di accoglienza e di tutela delle persone più fragili.
Molto probabilmente a rendere la vita difficile a queste persone non sono solo le temperature invernali, ma anche il gelo dei pregiudizi che spesso incontrano nella loro vita quotidiana. Le persone senza fissa dimora non contando su un luogo dove rifugiarsi, sono più esposti agli attacchi, all'emarginazione e a diverse forme di violenza psicologica e fisica. Molti vengono etichettati come "asociali" e "pericolosi" cosa che rende loro ancora più difficile ricostruirsi una vita.
"Ci vuole più coraggio!" – esclama don Geremia - "La solidarietà non si deve limitare ai social. La solidarietà si pratica. E' concretezza come la carità. Tutti abbiamo paura, ma la paura si sconfigge affrontandola. Il Bene è contagioso. Abbiamo dimenticato nella nostra cultura i valori del cristianesimo, come l'accoglienza, il rispetto, la solidarietà, della sussidiarietà: principi scritti in quasi in tutte le costituzioni dei Paesi dell'Unione Europea. Bisogna allargare i confini del proprio io, del proprio sé, la capacità di sentire insieme all'altro il dolore e la gioia. Questo solo indica il riconoscimento in una comune umanità a cui tutti apparteniamo".