il nome della rosa
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Cinema

L’Eco de “Il nome della rosa” a Castel del Monte

Il ricordo di un intellettuale che ha fatto conoscere Andria al mondo

Non importa quanti romanzi abbia scritto Umberto Eco e non importa quanti ciascuno di noi ne conosca o ne abbia letti, in tutti i casi alla notizia della morte del semiologo, scrittore e filosofo italiano tutti hanno immediatamente pensato a Il nome della rosa, tanto al libro quanto al film. Non sarà un caso che anche i palinsesti tv abbiano immediatamente ricalibrato le proprie programmazioni riproponendo il film da record di Annaud. Probabilmente l'unico film definito dalla stesso regista un palinsesto del romanzo di Eco. Non un film ispirato o tratto ma 'sovrascritto'. Sì, perché il palinsesto infatti era un manoscritto che conteneva un testo che veniva graffiato per scriverne un altro, un'opera sovrascritta ad un'altra che ne conserva il testo integralmente nell'ombra ma senza modificarlo. Il risultato sono due testi differenti, di due autori differenti e, nel caso de Il nome della rosa, con due linguaggi differenti: quello letterario di Eco, da una parte e quello cinematografico di Annaud, dall'altra. Due opere distinte delle quali nessuna ha avuto mai la pretesa di rileggere o reinterpretare l'altra.

Nel solco del successo del libro (oltre 50 milioni di copie vendute, tradotto in 40 lingue, vincitore del Premio Strega), il film è stato vincitore di Bafta, César, David di Donatello e Nastri d'Argento e ha registrato il record d'ascolto per ben 13 anni su Rai 1 ogniqualvolta è stato trasmesso. Nel 1986, anno della sua uscita in Italia, fu campione di incassi assoluto per la stagione 86-87.

Al di là di questi dettagli, per gli andriesi Il nome della Rosa è ancor più memorabile se si considera che gli ambienti esterni e interni della biblioteca descritta nel libro sono stati interamente ricostruiti ispirandosi direttamente al maniero federiciano ottagonale andriese. Ancor prima di Garrone, quando l'idea di una Film Commission pugliese non esisteva neppure allo stato embrionale, quando solo il cinema politico degli anni Settanta dei fratelli Taviani con Allonsnafàn aveva catturato l'imponente silhouette del Castel del Monte, per tanto tempo molti hanno pensato, creduto e scritto, dandone notizia, che le riprese del film di Annaud si fossero svolte in Puglia, oltre che in Italia. Tuttora si trovano articoli in rete che confermano questa informazione, ovviamente errata. Ciononostante, il solo fatto che nella ricostruzione dei luoghi il Castel del Monte fosse stato preso a modello, ha conferito negli anni ulteriore pregio al maniero federiciano, accendendo i riflettori di un interesse e di un curiosità internazionali. L'occhio della macchina da presa di Annaud - seppur indirettamente e per un misunderstanding - guidato dalle descrizioni letterarie del romanzo di Eco, aveva fatto conoscere, già negli anni Ottanta, un castello unico al mondo per la sua architettura oltre i confini nazionali ed europei, grazie ad una produzione made in USA di 18 milioni di dollari e con un decennio in anticipo rispetto al riconoscimento di Castel del Monte quale Patrimonio dell'Umanità da parte dell'Unesco e perciò bene protetto, per il quale, invece, bisognerà attendere il 1996. Insomma, dal libro, al cinema, passando per la storia (e per un equivoco), la rivalutazione culturale di Castel del Monte deve sicuramente qualcosa anche ad Umberto Eco.

Lo sguardo critico sulla società contemporanea, la grande sensibilità culturale, l'acume linguistico e l'eleganza stilistica del suo ragionar filosofico hanno fatto di Eco uno scrittore innamorato della sua Italia tanto da averle conferito, attraverso i suoi scritti, un prestigio che nella storia culturale può vantare solo pochi illustri precedenti ma che probabilmente non ha paragoni tra i contemporanei. Sarà che il destino di ciascuno è scritto nel proprio nome ma vero è che gli insegnamenti di questo professore illuminato riecheggeranno, per nostra somma fortuna, ancora per molto tempo e saranno faro e bussola per i giovani naviganti nel vasto e talvolta insidioso mare della cultura.
Grazie Capitano, anche da parte di noi andriesi!
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