Eventi e cultura
Il diario di una mamma diviene un libro: presentato al Seminario Vescovile “Ricordati di svegliarti”
Per ben 19 anni Nunzia accudisce il figlio Emanuele in coma dopo un grave incidente stradale
Andria - lunedì 6 luglio 2020
10.46
La scrittura come terapia. Scrivere per affrontare l'inestimabile dolore di un figlio che è in un letto, in coma. Per continuare un dialogo, per "tenere botta al dolore e trasformarlo in Amore". Finché un giorno, mamma Nunzia non decide di consegnare le pagine del suo diario ad un giornalista che lo trasforma in un libro.
Si intitola "Ricordati di svegliarti. Diario di lotta e di attesa", Edizioni Ultra, scritto a quattro mani da Nunzia Catalano e dal giornalista Andrea Colasuonno. Presentato, giovedì scorso, 2 luglio, al chiostro del Seminario Vescovile, vicino alla Biblioteca Diocesana "San Tommaso d'Aquino", in Largo Seminario. La presentazione, a cura del Circolo dei Lettori di Andria, presieduto da Gigi Brandonisio e della stessa Biblioteca Diocesana.
E' la storia di mamma Nunzia che da quel tragico incidente stradale del 16 novembre 2001 accudisce il figlio Emanuele in uno stato vegetativo dal quale non è più uscito. Ci sono due cani, delle indagini chiuse troppo in fretta, dei dottori crudeli, una burocrazia sfiancante, un fratello pilota d'aereo, un padre che si spegne e poi muore. E infine, ci sono le domande che il giornalista, spietato, pone alla madre: credi in Dio? Perché ci credi? Tuo figlio è felice? Perché speri ancora? Che senso ha tutto questo? E per ogni domanda c'è una risposta. Una storia vera raccontata dalla viva voce di una madre, senza lacrime o nodi in gola, come sfida alla disperazione. Una madre giunta all'ultima speranza, che di essa si è fatta custode, difendendola con il coraggio di chi è consapevole che solo quando quella si esaurirà, sarà davvero tutto finito.
Ciao Andrea, cosa ha rappresentato per lei l'incontro con la signora Catalano?
«Ha rappresentato la possibilità di entrare in un mondo del tutto nuovo, al quale del resto, se non capita l'occasione, non ci si avvicina facilmente. E' il mondo del coma e fa paura anche solo a nominarlo. Un mondo per lo più misterioso, duro e pieno di dolore, appunto, fatto "di lotta e di attesa", come dice il sottotitolo del libro».
Cosa l'ha spinta ad affiancarla?
«Ho deciso di lavorare a questa storia per due ragioni: perché è una storia dall'alto valore letterario, visto che racconta un fatto assolutamente non comune ed apre campi di riflessione vastissimi; e poi perché ha un suo valore civile. Attraverso le parole di Nunzia, cerca di spiegare, infatti, come nel trattamento delle persone in coma, in Italia, nella gran parte dei casi, si stia sbagliando quasi tutto».
In qualità di scrittore, in che modo l'ha segnata questa esperienza e cosa porterà via con sé?
«E' un'esperienza che ha aggiunto un punto di vista a quelli che già avevo, che poi immagino sia la cosa più importante per uno scrittore, o per uno come me che ambisce ad esserlo. Avevo una percezione manichea di vicende simili: in bianco o in nero. Dover lavorare sulla storia, invece, mi ha insegnato le sfumature. Mi ha confermato l'idea che la vita è molto più articolata di quel che siamo portati a credere. Porterò via con me la convinzione che su certe cose non si può mettere bocca. Non si deve. Non esiste qualcuno che ha ragione e qualcuno che ha torto. Ci sono solo uomini e donne che si ritrovano sostanzialmente soli, a fare i conti con la propria coscienza. L'unico modo di aiutare queste persone è lasciare loro la libertà di prendere le decisioni che ritengono. Decisioni che possono andare sia in un senso che nell'altro, e che restano legittime sopra ogni cosa».
Si intitola "Ricordati di svegliarti. Diario di lotta e di attesa", Edizioni Ultra, scritto a quattro mani da Nunzia Catalano e dal giornalista Andrea Colasuonno. Presentato, giovedì scorso, 2 luglio, al chiostro del Seminario Vescovile, vicino alla Biblioteca Diocesana "San Tommaso d'Aquino", in Largo Seminario. La presentazione, a cura del Circolo dei Lettori di Andria, presieduto da Gigi Brandonisio e della stessa Biblioteca Diocesana.
E' la storia di mamma Nunzia che da quel tragico incidente stradale del 16 novembre 2001 accudisce il figlio Emanuele in uno stato vegetativo dal quale non è più uscito. Ci sono due cani, delle indagini chiuse troppo in fretta, dei dottori crudeli, una burocrazia sfiancante, un fratello pilota d'aereo, un padre che si spegne e poi muore. E infine, ci sono le domande che il giornalista, spietato, pone alla madre: credi in Dio? Perché ci credi? Tuo figlio è felice? Perché speri ancora? Che senso ha tutto questo? E per ogni domanda c'è una risposta. Una storia vera raccontata dalla viva voce di una madre, senza lacrime o nodi in gola, come sfida alla disperazione. Una madre giunta all'ultima speranza, che di essa si è fatta custode, difendendola con il coraggio di chi è consapevole che solo quando quella si esaurirà, sarà davvero tutto finito.
Ciao Andrea, cosa ha rappresentato per lei l'incontro con la signora Catalano?
«Ha rappresentato la possibilità di entrare in un mondo del tutto nuovo, al quale del resto, se non capita l'occasione, non ci si avvicina facilmente. E' il mondo del coma e fa paura anche solo a nominarlo. Un mondo per lo più misterioso, duro e pieno di dolore, appunto, fatto "di lotta e di attesa", come dice il sottotitolo del libro».
Cosa l'ha spinta ad affiancarla?
«Ho deciso di lavorare a questa storia per due ragioni: perché è una storia dall'alto valore letterario, visto che racconta un fatto assolutamente non comune ed apre campi di riflessione vastissimi; e poi perché ha un suo valore civile. Attraverso le parole di Nunzia, cerca di spiegare, infatti, come nel trattamento delle persone in coma, in Italia, nella gran parte dei casi, si stia sbagliando quasi tutto».
In qualità di scrittore, in che modo l'ha segnata questa esperienza e cosa porterà via con sé?
«E' un'esperienza che ha aggiunto un punto di vista a quelli che già avevo, che poi immagino sia la cosa più importante per uno scrittore, o per uno come me che ambisce ad esserlo. Avevo una percezione manichea di vicende simili: in bianco o in nero. Dover lavorare sulla storia, invece, mi ha insegnato le sfumature. Mi ha confermato l'idea che la vita è molto più articolata di quel che siamo portati a credere. Porterò via con me la convinzione che su certe cose non si può mettere bocca. Non si deve. Non esiste qualcuno che ha ragione e qualcuno che ha torto. Ci sono solo uomini e donne che si ritrovano sostanzialmente soli, a fare i conti con la propria coscienza. L'unico modo di aiutare queste persone è lasciare loro la libertà di prendere le decisioni che ritengono. Decisioni che possono andare sia in un senso che nell'altro, e che restano legittime sopra ogni cosa».