celebrazione nella chiesa Cattedrale
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Religioni

Giovedì Santo: omelia della Messa vespertina della Cena del Signore

Celebrazione del Vescovo Mansi nella chiesa Cattedrale

Questa sera celebriamo l'ultima cena; per la verità la celebriamo tutti i giorni, ma poi soprattutto la domenica, ogni domenica.
Quando Gesù ha compiuto per la prima volta quel gesto, certamente i discepoli non hanno capito quello che stava succedendo, saranno rimasti stupiti, meravigliati, completamente disorientati, così come sono rimasti turbati, senza parole, quando hanno visto il maestro compiere quel gesto così strano di alzarsi da tavola, togliersi le vesti, cingersi un asciugatoio e mettersi a lavare i piedi, quando lo hanno visto compiere questo strano pellegrinaggio di piede in piede.
I dodici certamente non hanno capito la grandezza di quello che stava succedendo e del resto Gesù a Pietro, che non voleva farsi lavare i piedi, lo disse: "Quello che io faccio adesso, tu non lo puoi capire, lo capirai dopo, …però lasciamelo fare, perché se io non ti lavo, tu non avrai parte con me. Lasciamelo fare!".
Il gesto di spezzare il pane sull'altare, il gesto di lavare i piedi ai discepoli sono segni di un altro gesto che di lì a poche ore Gesù avrebbe compiuto, cioè quello di morire in croce per noi. Sull'altare si anticipa, nel mistero, quello che poi doveva accadere sulla croce: la morte di Gesù, l'offerta, il dono, l'Agnello immacolato che viene immolato per noi.
I testi della Sacra Scrittura che abbiamo ascoltato ci guidano nella contemplazione di questo grande mistero. La prima lettura, tratta dal libro dell'Esodo, ci ha raccontato la Pasqua degli ebrei, quando ormai Dio aveva deciso di liberarli dalla schiavitù per mezzo di Mosè. Il giorno dopo dovevano partire, fuggire; l'ultima cena anche lì, in terra straniera, per poi partire alla volta della libertà.
Quella cena degli ebrei era la figura, l'immagine di un'altra ultima cena, quella di Gesù; anche Lui celebra la Pasqua con i suoi discepoli, perché Lui è un buon ebreo, un pio israelita che è fedele alle tradizioni dei padri; ma Lui sapeva che quella era veramente l'ultima cena ebraica, perché dopo ce ne sarebbe stata un'altra, la nuova cena, quella del suo corpo e del suo sangue: non più il pane non lievitato, non più le erbe amare, ma il suo corpo, il suo sangue.
Noi vogliamo sentirci questa sera tutti quanti "nel cenacolo", è il luogo dell'intimità, della famiglia, è la casa dove i fratelli si riuniscono insieme con il Fratello maggiore per celebrare l'amore del Padre. E Gesù compie questo gesto, prende questo pane, lo spezza, lo dà ai suoi discepoli attoniti: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo". Il suo corpo? È un mistero di fronte al quale si resta veramente senza parole, si resta stupiti, "Prendete e mangiate, prendete e bevete…".
E dice San Paolo nell'altro racconto della cena che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: "Io vi ho trasmesso quello che a mia volta ho ricevuto e cioè che il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito…non in una notte qualsiasi, ma nella notte in cui veniva tradito, cioè nella notte in cui l'umanità esprimeva il massimo rifiuto nei confronti di Dio, il tradimento, in quella stessa notte Dio manifestava il massimo del suo amore.
Gesù sapeva che aveva intorno a sé dei traditori, dei "poco di buono"; Gesù sapeva che di quelli che gli stavano intorno non se ne salvava uno e pur tuttavia Gesù prende il pane e dice: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo". Questo è il dono più grande che il mondo possa ottenere, non esiste una forma più alta d'amore, è veramente il vertice, è la vetta, di più non si può, donarsi a chi ti tradisce, spezzarsi per chi ti abbandona. Ecco il dono d'amore, il dono gratuito che non aspetta risposta, non la pretende, non la vuole, non la sogna, non la mette proprio in conto, si dona e basta e anche sapendo che quella risposta non ci sarà, si dona lo stesso: questo è il nostro Dio, il Dio in cui noi crediamo.
Il nostro Dio è amore, per cui se vogliamo essere figli di questo Dio dobbiamo vivere nell'amore, Se mi siedo intorno a questa mensa, mi devo pur convincere, prima o poi, che devo vivere nell'amore, devo vivere nell'amore come Lui.
Ma come si fa? Questo è un altro discorso: mi sforzo, ce la metto tutta, quando non ce la faccio e cado, il Signore mi perdona sempre, ma mi devo sforzare, mi devo impegnare, devo prenderla sul serio; se invece io mi metto già in una prospettiva di rifiuto e dico: "Sì, alla mensa vengo, in Chiesa vengo, però con quelli non voglio avere a che fare, con quelli niente, non ne parliamo proprio, con quello neanche alla morte…", con queste parole nel cuore e sulle labbra, che cosa vengo a fare alla mensa del Signore?
Ci ha detto San Giovanni che, mentre il diavolo aveva già messo in animo a Giuda di tradirlo, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora, si alza da tavola, si toglie la veste, si cinge un asciugatoio, prende una brocca, un catino e comincia a lavare i piedi ai discepoli, i quali certamente saranno rimasti muti, senza parole perché è un gesto che non era del suo rango; Gesù era un Maestro, era il Signore, eppure compie un gesto che nella società del suo tempo apparteneva ai servi, agli schiavi;
Pietro tenta di fare resistenza. E Gesù dice a Pietro quelle parole che stasera dice anche a noi: "Quello che io faccio non lo puoi capire, lo capirai dopo".
Chiediamoci, cari fratelli e sorelle: e noi, dopo duemila anni, lo abbiamo capito quel gesto? Quante migliaia di anni devono passare ancora perché i cristiani comprendano quel gesto? Quanto deve passare? Gesù compie questo gesto in umiltà, si abbassa.
Poi, continua il Vangelo, Gesù si rimette la veste, si siede nuovamente a tavola e riprende la sua parte di maestro, si siede in cattedra, per dare lezione. "Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Però se io che sono il Maestro, il Signore vi ho lavato i piedi, cioè mi sono abbassato a fare il vostro servo, adesso anche voi dovete fare la stessa cosa, dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri".
"Ma i piedi di quello puzzano!". "Gli uni gli altri".
"Quelli sono piedi di traditore". "Gli uni gli altri".
"Ma quello non lo merita". "Gli uni gli uni gli altri".
Lasciamo stare chi merita e chi non merita, queste cose lasciamole decidere a Lui; Lui li ha lavati i piedi a Giuda e sapeva che Giuda non lo meritava, che lo stava per tradire, ma quando è arrivato lì davanti non ha detto: "A te niente! Vattene, ti odio!". No, ha lavato i piedi anche a Giuda. Quando è arrivato a Pietro, sapeva che di lì a poco lo avrebbe rinnegato, ma ha lavato i piedi anche a lui, addirittura Pietro poi lo ha fatto capo della Chiesa. Certo, ci rammarica non poco non poter compiere anche quest'anno il rito della lavanda dei piedi per la contingenza del virus. M il contesto c'è tutto e dobbiamo saperlo comprendere in profondità.
Ecco, questi sono i discepoli di Gesù, i traditori, i peccatori, questi siamo noi e Gesù ci lava i piedi proprio per dire: "Io che sono Dio mi metto ai vostri piedi. Abbassatevi pure voi gli uni ai piedi degli altri". Ecco quanto è importante la giornata di oggi; una lezione altissima, di fronte alla quale noi restiamo veramente senza parole. Credetemi, io per primo che dico queste cose, mi ritrovo a chiedermi: ma poi le faccio? Chissà! Spero che il Signore abbia misericordia di me! Però davvero tutti quanti dobbiamo prendere coscienza che col mistero dell'amore di Dio non si scherza.
"Come ho fatto io, così dovete fare anche voi".
E non è un consiglio, non è facoltativo, questa è la fede, perché quando abbiamo tolto questo, non resta niente, sono tutte chiacchiere, tutte banalità che noi facciamo per farci belli gli uni davanti agli altri, ma che non ci rendono davvero limpidi davanti a Dio, noi che siamo stati lavati con il sangue dell'Agnello, quell'Agnello che fra poco noi immoleremo ancora una volta sull'altare.
Chiediamo al Signore che ci aiuti a vivere questo mistero con grande consapevolezza e chiediamogli perdono perché ancora non ci convinciamo, ancora non ci decidiamo ad inginocchiarci gli uni ai piedi degli altri.
Che davvero Lui abbia pazienza con ciascuno di noi!

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