Cronaca
Furto all'Officina San Domenico, è il secondo in meno di un anno
A raccontare l'accaduto è l'associazione CapitalSud, che gestisce la struttura
Andria - martedì 12 luglio 2022
14.41
«Essere un presidio culturale e sociale è una responsabilità, un impegno e talvolta una vocazione. Non ci possiamo nascondere: è difficile. In quasi un anno di gestione, in Officina San Domenico ci siamo trovati a fare fronte a situazioni di tensione, vandalismo, vera e propria violenza. Abbiamo scelto una modalità educante e non punitiva. Abbiamo cercato il dialogo, non l'esclusione.
Ma questa mattina ci siamo svegliati davvero sconfortati: per la seconda volta, - scrive l'associazione CapitalSud - abbiamo subito un altro furto in meno di dodici mesi. Il danno, stavolta, è minimo. Chi è entrato nel nostro bar ha avuto una sorpresa amara e ha deciso di accontentarsi di pochi spiccioli e qualche bottiglia di alcol. D'altronde, lo sapeva addirittura il vecchio ministro Tremonti che con la cultura non si mangia, figuriamoci diventare ricchi con un bar in uno spazio culturale. Non è il danno che ci rattrista. È questa sensazione di impotenza che ci amareggia. Questo essere una cattedrale nel deserto, che non si può sostenere con poche pacche sulle spalle.
Non ci possiamo nascondere: noi, come La Fabbrica, siamo due presidi culturali in due zone difficili. Non sarà un concerto o una bella serata a salvare il mondo, ma tutto quello che succede intorno si. E da soli, gli spazi culturali, sono solo la preda di chi ci vede come una minaccia o un obiettivo facile. Ignorando la fatica, le ore non retribuite, la ricerca, l'entusiasmo che c'è dietro un posto come questo in cui non girano grandi soldi, ma grandi risorse, soprattutto umane».
Ma questa mattina ci siamo svegliati davvero sconfortati: per la seconda volta, - scrive l'associazione CapitalSud - abbiamo subito un altro furto in meno di dodici mesi. Il danno, stavolta, è minimo. Chi è entrato nel nostro bar ha avuto una sorpresa amara e ha deciso di accontentarsi di pochi spiccioli e qualche bottiglia di alcol. D'altronde, lo sapeva addirittura il vecchio ministro Tremonti che con la cultura non si mangia, figuriamoci diventare ricchi con un bar in uno spazio culturale. Non è il danno che ci rattrista. È questa sensazione di impotenza che ci amareggia. Questo essere una cattedrale nel deserto, che non si può sostenere con poche pacche sulle spalle.
Non ci possiamo nascondere: noi, come La Fabbrica, siamo due presidi culturali in due zone difficili. Non sarà un concerto o una bella serata a salvare il mondo, ma tutto quello che succede intorno si. E da soli, gli spazi culturali, sono solo la preda di chi ci vede come una minaccia o un obiettivo facile. Ignorando la fatica, le ore non retribuite, la ricerca, l'entusiasmo che c'è dietro un posto come questo in cui non girano grandi soldi, ma grandi risorse, soprattutto umane».