Eventi e cultura
Domenica in Festival: i fratelli Forman sollevano il tendone in Piazza Catuma
11esimo giorno di Castel dei Mondi con il teatro Koreja e contenuti extra in Officina
Andria - domenica 3 settembre 2017
Poco tempo d'attesa ancora per svelare quello che avverrà nel tendone eretto in Piazza Catuma. Qui , alle 21.45, entrerà in scena il Forman's Theatre che giunge dalla Repubblica Ceca con "Deadtown", per la regia di Petr Forman.
Il loro spettacolo è attesissimo, dopo il precedente del 2009, Obludarium, che è considerato da tutti il più bello di tutte le edizioni del Festival. Dieci anni dopo Obludarium, i fratelli praghesi si lanciano in una nuova avventura. Questa volta si dirigono verso il buon vecchio Selvaggio West. L'idea nasce da una storia quasi incredibile: l'inventore della prima "taglia" (il famoso "wanted"), piantata con il coltello sulla porta di un saloon, pare fosse un emigrato ceco, un pittore fuggito nel lontano West per una ferita d'amore causata da suo fratello gemello, attore. Da questa vicenda (leggenda?) lo spunto per la loro nuova creazione, che, come in Obludarium, si associa alla costruzione di uno spazio teatrale dedicato, dall'aspetto di un saloon. Alla cifra caratteristica dei Forman (un teatro concreto e materiale fatto di attori, maschere, marionette di tutte le dimensioni, musica, scene dipinte, colori) si aggiungono le proiezioni, ispirate in 3d, come tutto lo spettacolo, ad antiche foto in bianco e nero, romanzetti popolari, film muti di cowboy e vecchie comiche dolcemente colorate in seppia; com'è nella loro poetica, uno spettacolo giocosamente naif e, se paragonato all'asettica pulizia del tempo presente, terribilmente e consapevolmente imperfetto, in linea con la loro idea tumultuosa e rude dell'epoca della frontiera (e del teatro). Un'opera d'arte "totale", in cui i mezzi del teatro, immagini, suoni, lo spazio teatrale stesso concorrono a creare un'immersione dello spettatore nel mito di un Far West che non c'è più, fatto di pistoleri, chanteuses, indiani e, anche, romantici ed eroici artisti.
Alla stessa ora, alle 21.45, presso il Palazzo Ducale ci sarà invece "Gul. Uno sparo nel buio" de I Cantieri teatrali Coreja: "gul" significa giallo in svedese. Questa storia coniuga due elementi distanti eppure pertinenti: il primo è il genere, in letteratura comunemente conosciuto come giallo, appunto; il secondo è uno degli eventi più traumatici della storia contemporanea europea: l'omicidio del premier svedese Olof Palme. Nel 1986, l'assassinio di Olof Palme ha segnato la storia politica mondiale, esattamente come, quasi vent'anni prima e in un altro continente, la morte di John Fitzgerald Kennedy sconvolse gli equilibri politici del tempo. L'omicidio di Olof Palme è un cold case per eccellenza. Oggi, quello che ci rimane della sua vita non è altro che una storia densa di complotti e interessi politici, un lutto nazionale, un assassino mai arrestato. Segreti, social-democrazia e sangue.
Contenuti extra anche per questa 1esima fiornata di Festival, con "Lo spettatore che racconta" alle 17 all'Officina San Domenico: un laboratorio gratuito fino ad un massimo di 15 iscritti. Un Festival non è solo un insieme di spettacoli, la vetrina di un'offerta culturale episodica, un evento destinato a non incidere sul contesto: il Festival è un progetto che si prende cura della vocazione identitaria di un territorio traducendola in un'esperienza. L'esperienza del Festival muta così il dove in cui esso avviene: ne modifica l'organizzazione spaziale, ne cambia il fluire quotidiano del tempo, coniuga diversamente la funzione di uno scorcio, un monumento, quella strada, questa piazza. Consente, della città, una visione extra-ordinaria; permette ai cittadini la variazione bioritmica della propria presenza e li spinge ad osservare, frequentare e vivere i propri luoghi consueti in maniera inconsueta.
Per questo scopo de Lo spettatore che racconta non è la formazione di una classe di nuovi critici che produca la narrazione professionale del "Festival Castel dei Mondi"; il fine è invece articolare ulteriormente l'esperienza del Festival stesso consentendo a un gruppo di cittadini/spettatori speciali (eterogenei per età, ceto sociale, scolarizzazione, provenienza urbana, livello di teatralizzazione già in essere) di ritrovarsi quotidianamente a discutere, intessendo relazioni e riflessioni da tramutare in scrittura perché – questa scrittura, ad un tempo individuale e collettiva – sia testimonianza di come la città ed alcuni dei suoi abitanti stiano percependo, traversando, vivendo il "Festival Castel dei Mondi": i suoi luoghi, i suoi spettacoli, le sue visioni. Si tratta, così, di far raccontare il Festival da chi ne è il vero beneficiario: gli andriesi. La scrittura – meglio: le scritture – comporranno un blog quotidiano, così diventando l'altro punto di vista su quel che sta accadendo ad Andria.
Il loro spettacolo è attesissimo, dopo il precedente del 2009, Obludarium, che è considerato da tutti il più bello di tutte le edizioni del Festival. Dieci anni dopo Obludarium, i fratelli praghesi si lanciano in una nuova avventura. Questa volta si dirigono verso il buon vecchio Selvaggio West. L'idea nasce da una storia quasi incredibile: l'inventore della prima "taglia" (il famoso "wanted"), piantata con il coltello sulla porta di un saloon, pare fosse un emigrato ceco, un pittore fuggito nel lontano West per una ferita d'amore causata da suo fratello gemello, attore. Da questa vicenda (leggenda?) lo spunto per la loro nuova creazione, che, come in Obludarium, si associa alla costruzione di uno spazio teatrale dedicato, dall'aspetto di un saloon. Alla cifra caratteristica dei Forman (un teatro concreto e materiale fatto di attori, maschere, marionette di tutte le dimensioni, musica, scene dipinte, colori) si aggiungono le proiezioni, ispirate in 3d, come tutto lo spettacolo, ad antiche foto in bianco e nero, romanzetti popolari, film muti di cowboy e vecchie comiche dolcemente colorate in seppia; com'è nella loro poetica, uno spettacolo giocosamente naif e, se paragonato all'asettica pulizia del tempo presente, terribilmente e consapevolmente imperfetto, in linea con la loro idea tumultuosa e rude dell'epoca della frontiera (e del teatro). Un'opera d'arte "totale", in cui i mezzi del teatro, immagini, suoni, lo spazio teatrale stesso concorrono a creare un'immersione dello spettatore nel mito di un Far West che non c'è più, fatto di pistoleri, chanteuses, indiani e, anche, romantici ed eroici artisti.
Alla stessa ora, alle 21.45, presso il Palazzo Ducale ci sarà invece "Gul. Uno sparo nel buio" de I Cantieri teatrali Coreja: "gul" significa giallo in svedese. Questa storia coniuga due elementi distanti eppure pertinenti: il primo è il genere, in letteratura comunemente conosciuto come giallo, appunto; il secondo è uno degli eventi più traumatici della storia contemporanea europea: l'omicidio del premier svedese Olof Palme. Nel 1986, l'assassinio di Olof Palme ha segnato la storia politica mondiale, esattamente come, quasi vent'anni prima e in un altro continente, la morte di John Fitzgerald Kennedy sconvolse gli equilibri politici del tempo. L'omicidio di Olof Palme è un cold case per eccellenza. Oggi, quello che ci rimane della sua vita non è altro che una storia densa di complotti e interessi politici, un lutto nazionale, un assassino mai arrestato. Segreti, social-democrazia e sangue.
Contenuti extra anche per questa 1esima fiornata di Festival, con "Lo spettatore che racconta" alle 17 all'Officina San Domenico: un laboratorio gratuito fino ad un massimo di 15 iscritti. Un Festival non è solo un insieme di spettacoli, la vetrina di un'offerta culturale episodica, un evento destinato a non incidere sul contesto: il Festival è un progetto che si prende cura della vocazione identitaria di un territorio traducendola in un'esperienza. L'esperienza del Festival muta così il dove in cui esso avviene: ne modifica l'organizzazione spaziale, ne cambia il fluire quotidiano del tempo, coniuga diversamente la funzione di uno scorcio, un monumento, quella strada, questa piazza. Consente, della città, una visione extra-ordinaria; permette ai cittadini la variazione bioritmica della propria presenza e li spinge ad osservare, frequentare e vivere i propri luoghi consueti in maniera inconsueta.
Per questo scopo de Lo spettatore che racconta non è la formazione di una classe di nuovi critici che produca la narrazione professionale del "Festival Castel dei Mondi"; il fine è invece articolare ulteriormente l'esperienza del Festival stesso consentendo a un gruppo di cittadini/spettatori speciali (eterogenei per età, ceto sociale, scolarizzazione, provenienza urbana, livello di teatralizzazione già in essere) di ritrovarsi quotidianamente a discutere, intessendo relazioni e riflessioni da tramutare in scrittura perché – questa scrittura, ad un tempo individuale e collettiva – sia testimonianza di come la città ed alcuni dei suoi abitanti stiano percependo, traversando, vivendo il "Festival Castel dei Mondi": i suoi luoghi, i suoi spettacoli, le sue visioni. Si tratta, così, di far raccontare il Festival da chi ne è il vero beneficiario: gli andriesi. La scrittura – meglio: le scritture – comporranno un blog quotidiano, così diventando l'altro punto di vista su quel che sta accadendo ad Andria.