Michele Palumbo
Michele Palumbo
Vita di città

Ad una mese dalla scomparsa del prof. Palumbo, il ricordo di Gino Piccolo

«.... il silenzio e la parola in Michele: autentiche lezioni di vita, preziosi tesori..»

«Da quando vado sperimentando che anche lo scrivere è un po' come avvicinarsi a chi si vuol bene, spesso mi assale gioiosamente il sogno che, se mi fosse donata un'altra vita, mi piacerebbe essere giornalista o uomo politico.
Come giornalista cercherei il buono, il vero, il bello disseminato nella coscienza dei singoli e dei popoli; lo estrarrei come si fa con l'oro dal fango dei fiumi, per farne pagine di cronaca bianca e farle passare "da anima ad anima, da labbro a labbro".
Come uomo politico desidererei, tenderei ad aprire il cuore come una conchiglia per raccogliere le grida di quella umanità "staffilata", sconfitta dalla vita e vivrei, lavorerei, legifererei per dare una risposta ai tanti, troppi perché».

Ad un mese dalla scomparsa del giornalista e docente di filosofia ed italiano, prof. Michele Palumbo, lo ricorda un suo caro e fraterno amic, Gino Piccolo, del "Centro Igino Giordani" di Andria.

«Così, tempo fa, scrivevo al mio amico Michele Palumbo, Professore sì, ma di umanità, serietà eGiornalista di quell'evangelico "Sì, sì, No, no," attualissimo in un'epoca così verbosa e pur tanto assetata di essenzialità.
Sorrideva quando, scherzando, gli dicevo che, nonostante la mia licenza di Avviamento e gli acciacchi della mia raggiunta terza età, ce l'avrei messa tutta pur di fargli concorrenza come giornalista! Sorrideva, restando in silenzio o, tutt'al più, diceva ironicamente una o due sole parole.
Già: il silenzio e la parola in Michele: autentiche lezioni di vita, preziosi tesori –soprattutto per chi ha la passione di scrivere- da estrarre dal fondo dell'anima, per farne un dono al prossimo assetato di verità, amore, giustizia.
Il silenzio: Ed è proprio col suo silenzio che Michele incoraggiava la parola del suo interlocutore.
La parola: La sua era libera, schietta ma altrettanto silenziosa; la sentivi solo se vi corrispondevi con altrettanto silenzio interiore, quello che solo può farti percepire gli echi più tenui di voci e pensieri di uomini e donne, di segreti dolori, di brevi gioie.
Conversare con lui era sperimentare il sentirsi pienamente accolti.

Il silenzio e la parola! Profondo e illuminante, dev'essere stato per Michele, a proposito, quel pensiero della pensatrice spagnola Maria Zambrano: << La verità della parola ha bisogno di un grande vuoto, di un silenzio in cui poter prendere dimora senza che nessun'altra presenza si mischi alla sua, falsandola>>.
Profondi e più frequenti si fecero i colloqui in seguito alla pubblicazione di 'Preghiere Laiche', libro che, per farmi una sorpresa, mi inviò in anteprima per posta.
Fu in quella occasione che, col cuore pieno di confidenza, gli dissi che mi aveva colpito rileggere un intervento di Chiara Lubich –di anni addietro- ad un Congresso di Professionisti della Comunicazione nel quale "la Lubich, senza timore che poteva sembrare una provocazione, si soffermò in modo particolare sul mistero terribile e affascinante del Grido di Cristo Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato" definendolo un grande comunicatore che aveva affascinato le folle e operato, in tal modo, da divino mediatore (medium) e comunicatore. E al pari di Cristo anche Maria, la Madre di Dio, -sempre la Lubich- propose come modello dei comunicatori perché si potessero ispirare alle qualità di una Madre e imparare da essa a capire meglio gli uomini e le situazioni, a dare quella comunicazione più vera, più approfondita, più ampia, che non sempre si sa dare, dove il negativo degli uomini e delle circostanze non si tace, ma dove viene dato più rilievo al positivo. Perché così è l'amore: conosce la realtà, con le sue molte ombre, ma la sa trasfigurare per far trionfare il bene in tutti" ( Chiara Lubich al Congresso NetOne il 6 giugno 2003) ( www.net-one.org ).
Umanamente ero consapevole che Michele –a ragione- poteva chiedermi: 'ma che c'entra Cristo e sua Madre col Giornalismo?'. Non commentò né l'intervento di Chiara, né le riflessioni di Giornalisti italiani e stranieri presenti al Convegno, ma fu soprattutto l'espressione del suo viso e il suo rispettoso silenzio a pervadermi dell'amabile sensazione che avesse percepito qualcosa di bello e di semplice.

Uno solo, è oggi, il rammarico che serbo in cuore: il non aver fatto in tempo a consegnargli un premio Giornalistico pensato per lui dal Centro del quale sono corresponsabile!! Di contro, però, come credente, mi conforta il pensare che "nella sua nuova dimora", tra una schiera in festa di amici laici –e non solo-, il premio, Michele, lo abbia ricevuto dalle mani di quel collega Giornalista che insieme –da un po' di anni- andavamo riscoprendo: Igino Giordani e, magari, con accanto la stessa Chiara Lubich che delle persone di convinzioni diverse aveva grande stima e rispetto convinta che la loro è la più dolorosa ricerca di Dio.
Ciao Michè! E scusami qualche parola…. di troppo». Gennaro (Gino) Piccolo
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