"Un'Arma nel Cuore" di Angelo Jannone: l'omaggio agli eroi italiani del mondo investigativo
Lo scrittore andriese, colonnello in congedo dell'Arma dei Carabinieri, si è raccontato nel corso di una nostra intervista
giovedì 7 ottobre 2021
13.44
"Un'Arma nel Cuore - Nell'Italia di oggi, ritratti di eroi vissuti nel silenzio" è il penultimo libro scritto dall'ufficiale superiore in congedo dell'Arma dei Carabinieri, Angelo Jannone originario di Andria, che la nostra redazione ha avuto il piacere e l'onore di intervistare, partendo proprio da questo romanzo autobiografico. Per 20 anni, sino al grado di Tenente Colonnello, Jannone ha ricoperto numerosi incarichi operativi nell'Arma dei Carabinieri (Corleone, Catania, Roccella Jonica, Mestre, Roma Eur, Ros di Catanzaro e Reparto Analisi del Ros Centrale), dirigendo importanti incarichi investigativi contro Cosa Nostra, ndrangheta, narcotraffico internazionale, usura, riciclaggio e corruzioni. Ha lavorato fianco a fianco con il giudice Giovanni Falcone ed è stato uni dei primi infiltrati all'interno delle famiglie mafiose e dei narcos. È stato docente a contratto alla Sapienza, a Cà Foscari e Univerona, nonché professore associato di tecniche e metodologie di indagine all'università Ludes di Lugano. È autore di numerose pubblicazioni su Rivista 231, Guida al Diritto e libri a contenuto scientifico nonché co-autore del libro "ESG e Recovery Plan – Percorsi e Strumenti per la Sostenibilità di lungo termine delle P.M.I.". Oggi è consulente aziendale, docente di criminologia e scrittore.
Nella prima parte della nostra intervista con il Colonnello Jannone siamo partiti dal libro "Un'arma nel cuore", edito da Intermedia Edizioni e arricchito dalla prefazione di Roberto Pennisi, Magistrato della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo: «Non a caso, il titolo è "un'arma" e non "l'arma" – così Jannone spiegando la scelta del titolo – perché vuole essere un riferimento all'Arma dei Carabinieri a cui ho dedicato buona parte della mia vita. Mi riferisco a quella parte dell'Arma fatta di tante figure in ombra, colleghi che silenziosamente hanno dedicato la vita in maniera generosa e spontanea al servizio del prossimo. Inoltre, il significato del titolo rimanda al dolore per una vicenda che mi porto dentro e che racconto nel libro». Il fulcro dell'opera è racchiuso anche nel sottotitolo in copertina che recita "Nell'Italia di oggi, ritratti di eroi vissuti nel silenzio": «Pur essendo un romanzo autobiografico – spiega l'autore – non mi pongo come protagonista ma come osservatore che descrive personaggi e immagini, anche forti, di vita vissuta. Siamo abituati a riconoscere l'eroe perché muore in servizio, ma tanti altri lo sono stati ugualmente pur non avendo avuto questa "fortuna"». E a proposito di eroi, Jannone cita particolarmente la storia dell'appuntato Bruno Manti, conosciuto alla caserma di Corleone.
Tra i primi agenti sotto copertura e profondo conoscitore delle organizzazioni mafiose, Angelo Jannone spiega quali sono i rischi di un incarico molto delicato come questo e quali caratteristiche sono necessarie per un infiltrato: «Chi legge la storia in un certo modo sa che i corleonesi, quando erano al vertice di Cosa Nostra, sono stati l'unica organizzazione criminale che ha fatto dell'abbattimento dei suoi nemici uomini dello Stato una filosofia di vita. Tutte le altre organizzazioni sono votate soprattutto agli affari, che cozzano con l'aggressione a un uomo dello Stato. Fra l'altro, i clan mettono sempre in conto di potersi imbattere in uno "sbirro", e se dovessero sospettare qualcosa si limitano a scomparire, in particolare se l'infiltrato gioca "in casa", ovvero nel proprio contesto di protezione. Cosa deve fare un agente sotto copertura? Ci vuole una grande capacità di improvvisazione, pur essendoci regole di massima non esiste un copione. Mai fare domande, perché la curiosità non appartiene al criminale, inoltre non bisogna avere fretta perché i criminali hanno bisogno di te e non viceversa. È importante anche prendere più appuntamenti possibili perché sono occasioni per avere elementi in più da utilizzare nell'indagine».
Jannone conclude la prima parte dell'intervista raccontando un episodio famoso che ha vissuto in prima persona, ovvero l'occupazione armata dei Serenissimi a Venezia in Piazza San Marco il 9 maggio 1997. Una vicenda che ha consentito a due andriesi di incrociarsi in ruoli diversi: chi ha ordinato l'intervento, l'allora Vice-Ministro dell'Interno, Giannicola Sinisi, e chi l'ha eseguito, ovvero il Colonnello Angelo Jannone.
Nella prima parte della nostra intervista con il Colonnello Jannone siamo partiti dal libro "Un'arma nel cuore", edito da Intermedia Edizioni e arricchito dalla prefazione di Roberto Pennisi, Magistrato della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo: «Non a caso, il titolo è "un'arma" e non "l'arma" – così Jannone spiegando la scelta del titolo – perché vuole essere un riferimento all'Arma dei Carabinieri a cui ho dedicato buona parte della mia vita. Mi riferisco a quella parte dell'Arma fatta di tante figure in ombra, colleghi che silenziosamente hanno dedicato la vita in maniera generosa e spontanea al servizio del prossimo. Inoltre, il significato del titolo rimanda al dolore per una vicenda che mi porto dentro e che racconto nel libro». Il fulcro dell'opera è racchiuso anche nel sottotitolo in copertina che recita "Nell'Italia di oggi, ritratti di eroi vissuti nel silenzio": «Pur essendo un romanzo autobiografico – spiega l'autore – non mi pongo come protagonista ma come osservatore che descrive personaggi e immagini, anche forti, di vita vissuta. Siamo abituati a riconoscere l'eroe perché muore in servizio, ma tanti altri lo sono stati ugualmente pur non avendo avuto questa "fortuna"». E a proposito di eroi, Jannone cita particolarmente la storia dell'appuntato Bruno Manti, conosciuto alla caserma di Corleone.
Tra i primi agenti sotto copertura e profondo conoscitore delle organizzazioni mafiose, Angelo Jannone spiega quali sono i rischi di un incarico molto delicato come questo e quali caratteristiche sono necessarie per un infiltrato: «Chi legge la storia in un certo modo sa che i corleonesi, quando erano al vertice di Cosa Nostra, sono stati l'unica organizzazione criminale che ha fatto dell'abbattimento dei suoi nemici uomini dello Stato una filosofia di vita. Tutte le altre organizzazioni sono votate soprattutto agli affari, che cozzano con l'aggressione a un uomo dello Stato. Fra l'altro, i clan mettono sempre in conto di potersi imbattere in uno "sbirro", e se dovessero sospettare qualcosa si limitano a scomparire, in particolare se l'infiltrato gioca "in casa", ovvero nel proprio contesto di protezione. Cosa deve fare un agente sotto copertura? Ci vuole una grande capacità di improvvisazione, pur essendoci regole di massima non esiste un copione. Mai fare domande, perché la curiosità non appartiene al criminale, inoltre non bisogna avere fretta perché i criminali hanno bisogno di te e non viceversa. È importante anche prendere più appuntamenti possibili perché sono occasioni per avere elementi in più da utilizzare nell'indagine».
Jannone conclude la prima parte dell'intervista raccontando un episodio famoso che ha vissuto in prima persona, ovvero l'occupazione armata dei Serenissimi a Venezia in Piazza San Marco il 9 maggio 1997. Una vicenda che ha consentito a due andriesi di incrociarsi in ruoli diversi: chi ha ordinato l'intervento, l'allora Vice-Ministro dell'Interno, Giannicola Sinisi, e chi l'ha eseguito, ovvero il Colonnello Angelo Jannone.