Salubrità dell'acqua, Miscioscia: «Acquedotto e autorità sanitaria garantiscano i livelli di sicurezza»
Il Presidente del Laboratorio Verde Fareambiente di Andria interviene sul tavolo tecnico richiesto sui dati rilevati di PFAS
martedì 11 febbraio 2025
4.09
«Più che chiedere la convocazione di un Tavolo Tecnico Permanente come proposto dall'assessore all'ambiente del Comune di Andria, la questione da sollevare è come mai solo nel campione di acqua prelevato da una delle fontane pubbliche di Andria, su 13 campioni eseguiti in tutta la Puglia, è stata riscontrata la quantità più alta di PFAS pari a 17 ng/lt. di Pfas? Da qui dovremmo partire considerato che solo in sette campioni si rilevano tracce di PFAS. Premettiamo che l'utilizzo di queste sostanze chimiche (perfluoroalchiliche che includono gli acidi perfluoroacrilici), avviene in campo industriale da oltre 70 anni e si trovano dappertutto: dalle pentole antiaderenti, agli indumenti compreso i camici chirurgici, agli articoli medicali per impianti e protesi mediche e alle scarpe impermeabili fino ad alcuni imballaggi alimentari, pesticidi e ora anche nelle acque del rubinetto, come riscontrato da Greenpeace Italia nell'ambito dell'indagine indipendente "Acque Senza Veleni" effettuata su campioni di acqua potabile di diverse regioni da nord a sud dell'Italia. La loro presenza è innegabile e merita certamente un doverosa attenzione sul loro utilizzo da parte delle autorità di governo ed in particolare di quella sanitaria. Premesso che al nord, in diverse regioni, i valori di PFAS rilevati nell'acqua sono ancora più preoccupanti rispetto a quelli rilevati nelle regioni meridionali compresa la Puglia, mi domando a cosa possa servire l'istituzione di un Tavolo Tecnico permanente a livello regionale quando il problema è a monte».
«Anche per questo andrebbero chieste spiegazioni all'ente gestore della rete pubblica di distribuzione idrica -prosegue Miscioscia- circa l'efficienza degli impianti di potabilizzazione e, conseguentemente, maggiori controlli da parte dell' autorità sanitaria preposta a monitorare e verificare la presenza di PFAS nella rete pubblica dell'acquedotto. Ora, al di là dei dati diffusi da Greepeace che pure andrebbero certificati e avallati dalle autorità preposte, non dobbiamo dimenticare che è in capo agli enti gestori degli impianti di potabilizzazione e distribuzione dell'acqua potabile e all'autorità sanitaria la responsabilità di monitorare costantemente la qualità dell'acqua e la sua salubrità e di mettere in atto tutte le misure adeguate per migliorarne la capacità di potabilizzazione puntando ad efficientare e/o a potenziare i sistemi di filtraggio. La questione della presenza dei PFAS nell'acqua, peraltro, è all'attenzione di diversi paesi oltre che del nostro. Infatti, recentemente uno studio svolto anche negli Stati Uniti ha rivelato che il 45% delle sue acque risultano contaminate, mentre in Francia una ricerca pubblicata da parte di un'associazione di consumatori il 23 gennaio, ha rivelato la presenza diffusa e capillare di PFAS su campioni di acqua prelevati in 30 diverse città anche se i livelli rientrano nei parametri stabiliti dall'EFSA, l'Autorità Europea per la sicurezza alimentare. Allo stato dobbiamo ricordare che in Italia non ci sono per il momento dati ufficiali sui livelli di PFAS presenti nelle nostre acque. Dati che, per quanto è dato a sapere, sarebbero di prossima pubblicazione da parte del Sistema An.Te.A., ovvero l'Anagrafe Territoriale dinamica delle Acque potabili. Rimane il fatto, e su questo dobbiamo riflettere, che i parametri che entreranno in vigore dal gennaio 2026 stabiliti dalla direttiva europea prevedono nell'acqua di rubinetto una presenza di PFAS fino ad un massimo di 100 nanogrammi per litro e il Decreto 18/2023 stabilisce che le autorità sanitarie e i gestori delle reti pubbliche dovranno, entro il 12 gennaio 2026, rispettare i nuovi parametri».
«Quindi non comprendo a cosa dovrebbe portare l'istituzione di un Tavolo Tecnico permanente, atteso che il direttore del reparto di Igiene delle Acque interne dell'Istituto Superiore di Sanità evidenziando che è praticamente impossibile eliminare gli PFAS dall'ambiente senza un controllo sulla circolazione e lo smaltimento di tali sostanze, ha confermato che l'Istituto di Sanità Superiore sta lavorando per adottare limiti ancora più stringenti rispetto a quelli stabiliti dalla direttiva europea, tra cui l'adozione a livello nazionale di un limite massimo di 20 nanogrammi per litro per gli PFAS più pericolosi. Se volessimo infine fare un'analisi dei dati pubblicati relativi ai 13 campioni prelevati nella nostra Regione di cui 7 risultati con tracce di PFAS compreso quello prelevato dalla fontana pubblica di Andria, non potremmo fare a meno di chiederci da quale rete dell'acquedotto e da quale impianto di potabilizzazione proviene la nostra acqua rispetto alle altre fontane campionate? Già questo dato dovrebbe indurci ad avviare una riflessione circa l'attendibilità dei campioni di acqua prelevati non fosse altro che per comprendere se tali valori sono uguali o difformi da quelli riscontrabili nell'acqua all'uscita dell'impianto di potabilizzazione prima di essere immessa nella rete di distribuzione dell'acquedotto. Questo sarebbe, piuttosto, l'approfondimento da richiedere, utile per chiarire e tranquillizzare tutti i cittadini pugliesi. Altro che tavolo tecnico permanente».
E' l'analisi del Presidente del Laboratorio Verde di Fareambiente di Andria, Benedetto Miscioscia.
«Anche per questo andrebbero chieste spiegazioni all'ente gestore della rete pubblica di distribuzione idrica -prosegue Miscioscia- circa l'efficienza degli impianti di potabilizzazione e, conseguentemente, maggiori controlli da parte dell' autorità sanitaria preposta a monitorare e verificare la presenza di PFAS nella rete pubblica dell'acquedotto. Ora, al di là dei dati diffusi da Greepeace che pure andrebbero certificati e avallati dalle autorità preposte, non dobbiamo dimenticare che è in capo agli enti gestori degli impianti di potabilizzazione e distribuzione dell'acqua potabile e all'autorità sanitaria la responsabilità di monitorare costantemente la qualità dell'acqua e la sua salubrità e di mettere in atto tutte le misure adeguate per migliorarne la capacità di potabilizzazione puntando ad efficientare e/o a potenziare i sistemi di filtraggio. La questione della presenza dei PFAS nell'acqua, peraltro, è all'attenzione di diversi paesi oltre che del nostro. Infatti, recentemente uno studio svolto anche negli Stati Uniti ha rivelato che il 45% delle sue acque risultano contaminate, mentre in Francia una ricerca pubblicata da parte di un'associazione di consumatori il 23 gennaio, ha rivelato la presenza diffusa e capillare di PFAS su campioni di acqua prelevati in 30 diverse città anche se i livelli rientrano nei parametri stabiliti dall'EFSA, l'Autorità Europea per la sicurezza alimentare. Allo stato dobbiamo ricordare che in Italia non ci sono per il momento dati ufficiali sui livelli di PFAS presenti nelle nostre acque. Dati che, per quanto è dato a sapere, sarebbero di prossima pubblicazione da parte del Sistema An.Te.A., ovvero l'Anagrafe Territoriale dinamica delle Acque potabili. Rimane il fatto, e su questo dobbiamo riflettere, che i parametri che entreranno in vigore dal gennaio 2026 stabiliti dalla direttiva europea prevedono nell'acqua di rubinetto una presenza di PFAS fino ad un massimo di 100 nanogrammi per litro e il Decreto 18/2023 stabilisce che le autorità sanitarie e i gestori delle reti pubbliche dovranno, entro il 12 gennaio 2026, rispettare i nuovi parametri».
«Quindi non comprendo a cosa dovrebbe portare l'istituzione di un Tavolo Tecnico permanente, atteso che il direttore del reparto di Igiene delle Acque interne dell'Istituto Superiore di Sanità evidenziando che è praticamente impossibile eliminare gli PFAS dall'ambiente senza un controllo sulla circolazione e lo smaltimento di tali sostanze, ha confermato che l'Istituto di Sanità Superiore sta lavorando per adottare limiti ancora più stringenti rispetto a quelli stabiliti dalla direttiva europea, tra cui l'adozione a livello nazionale di un limite massimo di 20 nanogrammi per litro per gli PFAS più pericolosi. Se volessimo infine fare un'analisi dei dati pubblicati relativi ai 13 campioni prelevati nella nostra Regione di cui 7 risultati con tracce di PFAS compreso quello prelevato dalla fontana pubblica di Andria, non potremmo fare a meno di chiederci da quale rete dell'acquedotto e da quale impianto di potabilizzazione proviene la nostra acqua rispetto alle altre fontane campionate? Già questo dato dovrebbe indurci ad avviare una riflessione circa l'attendibilità dei campioni di acqua prelevati non fosse altro che per comprendere se tali valori sono uguali o difformi da quelli riscontrabili nell'acqua all'uscita dell'impianto di potabilizzazione prima di essere immessa nella rete di distribuzione dell'acquedotto. Questo sarebbe, piuttosto, l'approfondimento da richiedere, utile per chiarire e tranquillizzare tutti i cittadini pugliesi. Altro che tavolo tecnico permanente».
E' l'analisi del Presidente del Laboratorio Verde di Fareambiente di Andria, Benedetto Miscioscia.