Riccardo Saccotelli: «Giorno e luogo senza alcun significato»

Secondo il Carabiniere sopravvissuto a Nassiriya moltissime le scorrettezze nel ricordo. La strage di Nassiriya tolse la vita a 19 italiani e 9 iracheni

giovedì 23 maggio 2013 18.21
Riccardo Saccotelli è il Carabiniere sopravvissuto all'attacco dinamitardo contro la base italiana di Nassiriya quel maledetto 12 novembre 2003. Per lui l'invito quest'oggi all'inaugurazione della Stele intitolata proprio ai Martiri di quella strage nella quale persero la vita 28 persone tra italiani ed iracheni. Ma la sua testimonianza non v'è stata poichè impossibilitato a parlare seppur invitato all'evento come si evince dalla sua lettera scritta proprio questa mattina poco prima delle celebrazioni in strada. Luogo e giorno non hanno grande significato per il ricordo di una grande tragedia della quale forse vi sono ancora verità da affrontare e che resteranno solo scolpite nella memoria dei sopravvissuti. Noi riportiamo il testo integrale della lettera inviataci in redazione:

«Capita a volte di pensare che non sarebbe sbagliato affidarsi alla criminalità e alla mafia per chiedere giustizia di uno Stato altrettanto mafioso e ingiusto. È proprio in quel momento, poi, che ti rendi conto di essere sbagliato perché certe cose non le faresti mai anche quando hai la certezza di trovarti di fronte un sistema corrotto nelle sue fondamenta e istituzioni più alte. Allora ti sforzi di usare parole istituzionali evitando il più possibile di incorrere nel comune errore della retorica: una pratica ormai svuotata di qualsiasi pubblica utilità educativa da quell'uso chimico di chi infettando i linguaggi e le idee ne distrugge alla base il significato più etico di ogni singola parola: per cui un qualsiasi politico, un Presidente di qualsiasi cosa, un Comandante di qualsiasi altra si sente nel dovere di violentare il senso ultimo delle parole e del sacrificio di chi nel bene e nel male resta testimone della prima battaglia combattuta (subita) in Iraq dagli italiani dopo la seconda Grande Guerra.

Così è stata scelta da data in cui il Sindaco e il Comandante dei carabinieri fossero liberi per poter fare le loro allocuzioni, senza che neppure il giorno avesse un benché minimo significato – la giornata più anonima possibile della settimana. Mi mandano l'invito, chiedo quale sia la ricorrenza, le autorità che interverranno e subito chiedo di poter prendere la parola e raccontare – testimoniare. Dopo un giro di telefonate al Comando Regione CC di Bari e due ore di colloquio con il Comandante di Andria mi viene detto che non è assolutamente possibile che io possa prendere la parola. Ma se davvero era importante la mia presenza – avere li un testimone vivente - come mai nessuno ha mai chiesto se avessi altri impegni per questa giornata? Forse perché l'invito era una semplice lavata di coscienza. E tutto ciò che restava di importante era che la politica e l'Arma dei carabinieri si (auto) celebrassero usando parole come (in minuscolo) italia, patria, bandiera, cittadini, sacrificio, martirio, solidarietà, rispetto per le vittime, amore per le forze armate… Si fa vera politica, credo, e si mostra umana solidarietà entrando in pieno nelle questioni di cui ci si vuol sentire autorizzati a parlare e non intitolando incroci e rotatorie di cui la città è piena.

Purtroppo però il senso di questa vicenda è quello del minuscolo io, con cui sotterrando la voce storica di qualcosa si costruisce un'altra storia e un'altra verità ed è quella che dice il sindaco, il comandante, il presidente, il conduttore televisivo o la soubrette che non hanno mai messo piede nemmeno per pura vanità in quei posti. La storia di Nasiriyah insomma è la storia delle subrette, dei varietà, delle cerimonie, delle censure e dei minuti di silenzio di cui parla chi non sa nulla. Non i documenti, i testimoni, le foto e i video girati sul posto. C'è persino chi parla di fatti inventati per attirare l'attenzione sul proprio ruolo. E poi c'è la retorica chimica di chi con la scusa di difendere quei ragazzi e uomini davvero dello Stato che rischiano la vita ogni giorno per strada difende soltanto gli interessi di singoli soggetti delle gerarchie militari. Insomma la solita difesa dei padroni e non degli operai.

Ma quale patria, quale Italia è questa? Dove è finito lo Stato se lo stato sono soltanto loro? E dov'è finito il senso civico anche di tutti noi che li lasciamo parlare e dire discorsi vuoti, falsi e inopportuni? La nostra libertà è stata relegata al solo ascolto alieno di qualsiasi sciocchezza pronunciata la cui autorevolezza discende solo da un potere esercitato. Se sono stato invitato a quello scempio odierno, insomma, è perché ero testimone dell'accaduto e credo che un testimone se c'è una cosa che deve fare è testimoniare e raccontare – anche in modo scomodo – il vissuto storico che non è più privato ma indirizzato a costruire la coscienza e conoscenza civile di cui proprio quelle autorità dovrebbero essere degni rappresentanti.

Basta quindi piantare una pietra su un qualsiasi buco della città per avere un posto in cui loro esercitano la retorica chimica che infetta la nostra libertà di pensarla diversamente, dissentire ed esprimere almeno il nostro pensiero? A chi serve il rondò dell'offesa? Alla nostra storia e memoria collettiva o al sindaco e agli onorevoli che necessitano di un posto in cui "sparare cazzate" (non sapendo e non avendo tantomeno messo mai piede in Iraq, ad un processo o ad una mia testimonianza)? Tutto ciò di cui il nostro Paese ha bisogno, credo, non siano le buone intenzioni nel fare belle porcate ma il coraggio della vergogna ed è tutto ciò che chiedo a chi ci ha offesi tutti
».