Rapporto Cave 2014, in Puglia oltre 2500 aree dismesse
Nella Bat la più elevata concentrazione di cave
domenica 4 maggio 2014
10.19
Enormi crateri come ferite aperte sul territorio costellano i paesaggi italiani. Da Nord a Sud le cave attive in Italia sono 5.592, quelle dismesse e monitorate addirittura 16.045, mentre se aggiungessimo anche quelle delle regioni che non hanno un monitoraggio (Calabria e Friuli Venezia Giulia) il dato potrebbe salire a 17 mila. Nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre le quantità dei materiali lapidei estratti, i numeri rimangono comunque impressionanti: un miliardo di Euro di ricavo, 80milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti nel 2012. Rilevanti sono anche gli impatti e i guadagni legati all'estrazione di pietre ornamentali, ossia di materiali di pregio dove sono minori le quantità estratta ma rilevantissimi i guadagni e gli stessi impatti (dalle Alpi Apuane al Marmo di Botticino-Brescia, alla pietra di Trani).
Questi, in sintesi, i dati del 'Rapporto Cave 2014' di Legambiente presentato a Roma insieme all'ebook sui paesaggi delle attività estrattive in Italia. «La Puglia si pone ai primi posti tra le regioni italiane per quantità di materiale lapideo estratto e per numero di cave, soprattutto dismesse e/o abbandonate - dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia - La sua vocazione nel settore estrattivo è legata alla natura geologica del territorio che ben si presta alla coltivazione di pietra da taglio per uso ornamentale: un primato che si riflette negativamente sulle criticità ambientali amplificate per decenni dalla mancanza del PRAE, del catasto cave e dall'estrazione a titolo gratuito».
In Puglia sono 415 le cave attive, mentre son ben 2.579 quelle dismesse e/o abbandonate che fanno balzare la nostra regione al secondo posto della classifica nazionale, dopo la Lombardia. I due principali bacini estrattivi sono Apricena (Fg) e Trani (Bt). Il bacino della Pietra di Apricena, tra i principali poli estrattivi italiani, si estende ai piedi del Gargano tra i comuni di Apricena, Poggio Imperiale e Lesina. Mentre il bacino della Pietra di Trani si estende tra i comuni di Trani, Andria, Bisceglie, Corato, Ruvo, Minervino Murge e Canosa ed è storicamente il più vasto giacimento calcareo pugliese, almeno fino alla fine degli anni '80. La Provincia di Barletta-Andria-Trani detiene il primato di provincia con la più elevata concentrazione di cave in relazione all'estensione del proprio territorio (una cava ogni 8,1 Km²).
Nonostante la crisi del settore edilizio in Puglia si continua a cavare. In particolare: sabbia e ghiaia sono i materiali principalmente estratti per un totale di 10,3 milioni di metri cubi, seguiti da pietre ornamentali con 658 mila metri cubi, calcare 1.2 milioni di metri cubi, argilla con 783 mila metri cubi e gesso con 11 mila metri cubi. A fronte di numeri così impressionanti i canoni di concessione pagati da chi cava sono a dir poco scandalosi in confronto ai guadagni del settore, soprattutto in Puglia dove la Regione e i Comuni incassano solo lo 0,7% rispetto ai profitti delle aziende. Nel 2012 sui soli inerti cavati, pari a 10,3 milioni di metri cubi che hanno fruttato 129 milioni di euro di introiti ai cavatori, la Regione ha percepito solo 827 mila euro.
«In un contesto di questo tipo - continua Tarantini - emerge, dunque, una netta differenza tra ciò che viene richiesto dagli enti pubblici ed il volume di affari generato dalle attività estrattive. Se pensiamo alla Puglia, una delle regioni più importanti per il peso del settore estrattivo, ci rendiamo conto di quanto i canoni siano irrisori, al punto da rendere l'estrazione in cava quasi gratuita. Nella nostra regione si è passati dalla completa gratuità delle estrazioni, all'introduzione di canoni basati sulla superficie delle aree estrattive, non tenendo conto peraltro della profondità degli scavi, fino all'introduzione delle tariffe legate alla quantità di materiale estratto, ma con canoni bassissimi: il prelievo degli inerti costa solo pochi centesimi. Se, per esempio, si introducesse il canone di concessione del 20% del prezzo di vendita, così come accade per esempio in Gran Bretagna, la Regione Puglia potrebbe ottenere un'entrata pari circa a 31 milioni di euro ogni anno anziché 827mila euro, a fronte dei 10,3 milioni di metri cubi di materiale estratto».
La Regione Puglia non ha ancora provveduto a redigere un Piano di recupero ambientale per le cave dismesse, ovvero quelle aree abbandonate prima dell'intervento normativo delle Regioni, per le quali sarebbero necessari un censimento ed una conseguente riqualificazione ambientale. Ad oggi, invece, vige il solo obbligo di ripristino ambientale delle cave in esercizio. «Chiediamo alla Regione Puglia di adottare un piano di recupero ambientale per tutte quelle cave dismesse o abbandonate che, specie in questo periodo, rischiano di diventare luoghi privilegiati per lo smaltimento illecito di rifiuti - conclude Tarantini - Chiediamo di aumentare i canoni di concessione per l'attività estrattiva e contestualmente di promuovere il recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia da utilizzare al posto di quelli provenienti da cava per infrastrutture e costruzioni».
Questi, in sintesi, i dati del 'Rapporto Cave 2014' di Legambiente presentato a Roma insieme all'ebook sui paesaggi delle attività estrattive in Italia. «La Puglia si pone ai primi posti tra le regioni italiane per quantità di materiale lapideo estratto e per numero di cave, soprattutto dismesse e/o abbandonate - dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia - La sua vocazione nel settore estrattivo è legata alla natura geologica del territorio che ben si presta alla coltivazione di pietra da taglio per uso ornamentale: un primato che si riflette negativamente sulle criticità ambientali amplificate per decenni dalla mancanza del PRAE, del catasto cave e dall'estrazione a titolo gratuito».
In Puglia sono 415 le cave attive, mentre son ben 2.579 quelle dismesse e/o abbandonate che fanno balzare la nostra regione al secondo posto della classifica nazionale, dopo la Lombardia. I due principali bacini estrattivi sono Apricena (Fg) e Trani (Bt). Il bacino della Pietra di Apricena, tra i principali poli estrattivi italiani, si estende ai piedi del Gargano tra i comuni di Apricena, Poggio Imperiale e Lesina. Mentre il bacino della Pietra di Trani si estende tra i comuni di Trani, Andria, Bisceglie, Corato, Ruvo, Minervino Murge e Canosa ed è storicamente il più vasto giacimento calcareo pugliese, almeno fino alla fine degli anni '80. La Provincia di Barletta-Andria-Trani detiene il primato di provincia con la più elevata concentrazione di cave in relazione all'estensione del proprio territorio (una cava ogni 8,1 Km²).
Nonostante la crisi del settore edilizio in Puglia si continua a cavare. In particolare: sabbia e ghiaia sono i materiali principalmente estratti per un totale di 10,3 milioni di metri cubi, seguiti da pietre ornamentali con 658 mila metri cubi, calcare 1.2 milioni di metri cubi, argilla con 783 mila metri cubi e gesso con 11 mila metri cubi. A fronte di numeri così impressionanti i canoni di concessione pagati da chi cava sono a dir poco scandalosi in confronto ai guadagni del settore, soprattutto in Puglia dove la Regione e i Comuni incassano solo lo 0,7% rispetto ai profitti delle aziende. Nel 2012 sui soli inerti cavati, pari a 10,3 milioni di metri cubi che hanno fruttato 129 milioni di euro di introiti ai cavatori, la Regione ha percepito solo 827 mila euro.
«In un contesto di questo tipo - continua Tarantini - emerge, dunque, una netta differenza tra ciò che viene richiesto dagli enti pubblici ed il volume di affari generato dalle attività estrattive. Se pensiamo alla Puglia, una delle regioni più importanti per il peso del settore estrattivo, ci rendiamo conto di quanto i canoni siano irrisori, al punto da rendere l'estrazione in cava quasi gratuita. Nella nostra regione si è passati dalla completa gratuità delle estrazioni, all'introduzione di canoni basati sulla superficie delle aree estrattive, non tenendo conto peraltro della profondità degli scavi, fino all'introduzione delle tariffe legate alla quantità di materiale estratto, ma con canoni bassissimi: il prelievo degli inerti costa solo pochi centesimi. Se, per esempio, si introducesse il canone di concessione del 20% del prezzo di vendita, così come accade per esempio in Gran Bretagna, la Regione Puglia potrebbe ottenere un'entrata pari circa a 31 milioni di euro ogni anno anziché 827mila euro, a fronte dei 10,3 milioni di metri cubi di materiale estratto».
La Regione Puglia non ha ancora provveduto a redigere un Piano di recupero ambientale per le cave dismesse, ovvero quelle aree abbandonate prima dell'intervento normativo delle Regioni, per le quali sarebbero necessari un censimento ed una conseguente riqualificazione ambientale. Ad oggi, invece, vige il solo obbligo di ripristino ambientale delle cave in esercizio. «Chiediamo alla Regione Puglia di adottare un piano di recupero ambientale per tutte quelle cave dismesse o abbandonate che, specie in questo periodo, rischiano di diventare luoghi privilegiati per lo smaltimento illecito di rifiuti - conclude Tarantini - Chiediamo di aumentare i canoni di concessione per l'attività estrattiva e contestualmente di promuovere il recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia da utilizzare al posto di quelli provenienti da cava per infrastrutture e costruzioni».