Parrocchia delle Croci, arrivederci a don Riccardo Agresti: lo attende il progetto "Senza Sbarre"
Dopo 26 anni il trasferimento alla chiesa di S.Luigi a Castel del Monte, nei pressi della quale sorge la Masseria S. Vittore
domenica 5 agosto 2018
12.49
Dopo ben 26 anni, don Riccardo Agresti saluta la comunità parrocchiale di Santa Maria Addolorata alle Croci per svolgere il suo nuovo incarico di parroco ai piedi del maniero federiciano, presso la chiesa di San Luigi a Castel del Monte. Lì sorge la Masseria San Vittore, sede del progetto diocesano "Senza Sbarre" messo in piedi dallo stesso don Riccardo assieme a don Vincenzo Giannelli: un percorso di reinserimento dei detenuti all'interno della società, un progetto che ora potrà contare sulla presenza in loco di colui che l'ha resa fattiva e concreta con grande determinazione.
«La parrocchia di Santa Maria Addolorata alle Croci - ha dichiarato don Riccardo - è stata per me come una mamma per 26 anni. E' importante una rigenerazione in questa comunità ed era doveroso fornire una maggiore identificazione al progetto "Senza Sbarre", costituito in sinergia con il nostro vescovo. Mi sento amato, mi sento utile: ricevo la fiducia di Dio e, appunto, del vescovo. Il progetto non deve diventare un altro carcere, ma una via di inserimento in una comunità cristiana, in un territorio, in un mondo che per queste persone deve ritornare ad essere la vita: la comunità deve accoglierle e formarle per reinserirle nel mondo lavorativo. Ho cercato di preparare la comunità da tempo a questo cambiamento, ma dentro di me c'è comunque emotività e commozione. Il Signore ci chiama e noi dobbiamo essere pronti».
«La parrocchia di Santa Maria Addolorata alle Croci - ha dichiarato don Riccardo - è stata per me come una mamma per 26 anni. E' importante una rigenerazione in questa comunità ed era doveroso fornire una maggiore identificazione al progetto "Senza Sbarre", costituito in sinergia con il nostro vescovo. Mi sento amato, mi sento utile: ricevo la fiducia di Dio e, appunto, del vescovo. Il progetto non deve diventare un altro carcere, ma una via di inserimento in una comunità cristiana, in un territorio, in un mondo che per queste persone deve ritornare ad essere la vita: la comunità deve accoglierle e formarle per reinserirle nel mondo lavorativo. Ho cercato di preparare la comunità da tempo a questo cambiamento, ma dentro di me c'è comunque emotività e commozione. Il Signore ci chiama e noi dobbiamo essere pronti».