Parco Nazionale Alta Murgia, Troia chiarisce la questione sui cinghiali
Il vice presidente del Parco chiarisce alcune problematiche legate alla gestione dei cinghiali
venerdì 20 gennaio 2017
In una nota, il vice-presidente del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, dr. Cesareo Troia, fornisce numerosi elementi di spiegazione a proposito della situazione legata ai cinghiali e la loro relativa gestione.
«Spesse volte vengono attribuite al Parco Nazionale responsabilità inerenti la gestione dei cinghiali, che in realtà non ha e non ha mai avuto. Credo che sia giunto il momento di chiarire in maniera definitiva l'annosa questione, per dissipare ogni ombra di dubbio e lanciare un appello a tutti coloro che, insieme alle attività di contrasto attuate dal Parco, dovrebbero impegnarsi per arginare gli ingenti danni subiti dagli agricoltori oltre a quelli ambientali.
L'Ente ha adottato il piano di gestione del cinghiale nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia» - prosegue il vice-presidente - «secondo le linee guida per la gestione della specie, emanate a livello Nazionale dall'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Nella redazione del Piano, l'Ente ha fatto tesoro delle esperienze territoriali di maggior successo messe in atto in Italia, valutando la fattibilità nel contesto Regionale della Puglia, nella quale nulla è stato mai fatto in contrasto al fenomeno della proliferazione, se non i rilasci di ungulati alle porte dell'area protetta fino al 2004, senza neanche una valutazione di incidenza, pur prescritta dalle vigenti normative a tutela del Sito Natura 2000.
La determinazione e l'adeguamento del contenimento (capi da prelevare) è stato effettuato sulla base dei dati derivanti dal censimento della popolazione a partire dal 2011. Per le modalità di contenimento della specie, il piano ha ipotizzato due metodologie:
- Prelievo selettivo tramite abbattimento con selecontrollo;
- Prelievo selettivo con gabbie e/o chiusini di cattura, con traslocazione degli animali vivi.
In merito alla prima tipologia, nel territorio del parco Nazionale,» - asserisce il dr. Troia - «l'eventuale utilizzo dei selecontrollori potrebbe avvenire "(….) per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'Ente Parco" ed i prelievi e gli abbattimenti devono "essere attuati dal personale dell'Ente Parco o da persone all'uopo espressamente autorizzate dall'Ente Parco stesso" (cfr art.11, comma 4 della L.394/1991). Eventualità questa, ritenuta meramente residuale nella pianificazione dell'Ente, anche a seguito del Parere ISPRA. Quest'ultimo, ha ritenuto di dover privilegiare il metodo della cattura, ritenuto maggiormente efficace, garantendo tra l'altro una certa sicurezza all'interno dell'area Parco. Il selecontrollo, mediante l'uso dello sparo potrebbe utilizzarsi come "rifinitura" dell'attività di contenimento.
A rafforzare questa scelta, del metodo "cattura e traslocazioni di animali vivi", da parte di questo Ente, vi sono l'impossibilità di procedere in Puglia alla macellazione di animali selvatici poiché mancano sul territorio regionale, "centri di lavorazione selvatici" e di alcune denunce di associazioni animaliste come la L.A.V. ed E.N.P.A. che propongono in alternativa o una sterilizzazione farmacologica o quella chirurgica bloccate dai pareri negativi espressi dall'ISPRA e dal Servizio Veterinario della Regione. Pertanto il processo di cattura e di traslocazione di animali vivi, conformemente alle linee guida dell'ISPRA, avviene utilizzando gabbie di contenimento con successiva immobilizzazione.
Questo metodo è stato concordato con tutte le autorità competenti a trattare la materia, anche se ultimamente vi è anche un problema interpretativo delle Autorità sanitarie veterinarie nazionali, regionali e locali, sulle norme di traslocazioni di animali selvatici vivi, per poter assicurare la tracciabilità dei capi selvatici catturati, per l'assenza di strumenti applicativi delle norme in materia di sicurezza alimentare.
Il piano messo in atto da questo Ente ha prodotto risultati apprezzabili, ma ancora insufficienti a contrastare la proliferazione incontrollata di questi animali. E' inoltre, da notare come fuori dalla zona Parco, non vi sono altre amministrazioni che attuino programmi di contenimento della specie, mediante selecontrollo e/o cattura. E' stato più volte ribadita la necessità di un tavolo di coordinamento che affronti unanimemente la questione, anche per evitare zone serbatoio, che vanificherebbero le suddette operazioni di contenimento.
E' importante ricordare,» - conclude il vice-presidente del Parco - «che l'Ente Parco è l'unico Ente che riconosce un indennizzo per i danni provocati dai Cinghiali, compatibilmente con le risorse disponibili.
Noi continueremo a lavorare nella direzione del contenimento della specie, auspicando che anche altre amministrazioni facciano la loro parte, nell'ottica che solo unanimemente si potrà avere una risposta in termini di efficacia».
«Spesse volte vengono attribuite al Parco Nazionale responsabilità inerenti la gestione dei cinghiali, che in realtà non ha e non ha mai avuto. Credo che sia giunto il momento di chiarire in maniera definitiva l'annosa questione, per dissipare ogni ombra di dubbio e lanciare un appello a tutti coloro che, insieme alle attività di contrasto attuate dal Parco, dovrebbero impegnarsi per arginare gli ingenti danni subiti dagli agricoltori oltre a quelli ambientali.
L'Ente ha adottato il piano di gestione del cinghiale nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia» - prosegue il vice-presidente - «secondo le linee guida per la gestione della specie, emanate a livello Nazionale dall'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Nella redazione del Piano, l'Ente ha fatto tesoro delle esperienze territoriali di maggior successo messe in atto in Italia, valutando la fattibilità nel contesto Regionale della Puglia, nella quale nulla è stato mai fatto in contrasto al fenomeno della proliferazione, se non i rilasci di ungulati alle porte dell'area protetta fino al 2004, senza neanche una valutazione di incidenza, pur prescritta dalle vigenti normative a tutela del Sito Natura 2000.
La determinazione e l'adeguamento del contenimento (capi da prelevare) è stato effettuato sulla base dei dati derivanti dal censimento della popolazione a partire dal 2011. Per le modalità di contenimento della specie, il piano ha ipotizzato due metodologie:
- Prelievo selettivo tramite abbattimento con selecontrollo;
- Prelievo selettivo con gabbie e/o chiusini di cattura, con traslocazione degli animali vivi.
In merito alla prima tipologia, nel territorio del parco Nazionale,» - asserisce il dr. Troia - «l'eventuale utilizzo dei selecontrollori potrebbe avvenire "(….) per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell'Ente Parco" ed i prelievi e gli abbattimenti devono "essere attuati dal personale dell'Ente Parco o da persone all'uopo espressamente autorizzate dall'Ente Parco stesso" (cfr art.11, comma 4 della L.394/1991). Eventualità questa, ritenuta meramente residuale nella pianificazione dell'Ente, anche a seguito del Parere ISPRA. Quest'ultimo, ha ritenuto di dover privilegiare il metodo della cattura, ritenuto maggiormente efficace, garantendo tra l'altro una certa sicurezza all'interno dell'area Parco. Il selecontrollo, mediante l'uso dello sparo potrebbe utilizzarsi come "rifinitura" dell'attività di contenimento.
A rafforzare questa scelta, del metodo "cattura e traslocazioni di animali vivi", da parte di questo Ente, vi sono l'impossibilità di procedere in Puglia alla macellazione di animali selvatici poiché mancano sul territorio regionale, "centri di lavorazione selvatici" e di alcune denunce di associazioni animaliste come la L.A.V. ed E.N.P.A. che propongono in alternativa o una sterilizzazione farmacologica o quella chirurgica bloccate dai pareri negativi espressi dall'ISPRA e dal Servizio Veterinario della Regione. Pertanto il processo di cattura e di traslocazione di animali vivi, conformemente alle linee guida dell'ISPRA, avviene utilizzando gabbie di contenimento con successiva immobilizzazione.
Questo metodo è stato concordato con tutte le autorità competenti a trattare la materia, anche se ultimamente vi è anche un problema interpretativo delle Autorità sanitarie veterinarie nazionali, regionali e locali, sulle norme di traslocazioni di animali selvatici vivi, per poter assicurare la tracciabilità dei capi selvatici catturati, per l'assenza di strumenti applicativi delle norme in materia di sicurezza alimentare.
Il piano messo in atto da questo Ente ha prodotto risultati apprezzabili, ma ancora insufficienti a contrastare la proliferazione incontrollata di questi animali. E' inoltre, da notare come fuori dalla zona Parco, non vi sono altre amministrazioni che attuino programmi di contenimento della specie, mediante selecontrollo e/o cattura. E' stato più volte ribadita la necessità di un tavolo di coordinamento che affronti unanimemente la questione, anche per evitare zone serbatoio, che vanificherebbero le suddette operazioni di contenimento.
E' importante ricordare,» - conclude il vice-presidente del Parco - «che l'Ente Parco è l'unico Ente che riconosce un indennizzo per i danni provocati dai Cinghiali, compatibilmente con le risorse disponibili.
Noi continueremo a lavorare nella direzione del contenimento della specie, auspicando che anche altre amministrazioni facciano la loro parte, nell'ottica che solo unanimemente si potrà avere una risposta in termini di efficacia».