Orario di lavoro medici e personale sanitario: a rischio diversi reparti

Dal 25 novembre il grido d'allarme di CIMO: «Togliere la sanità alle regioni»

domenica 29 novembre 2015 9.34
A cura di Stefano Massaro
«E' sorprendente come Regioni e Direttori Generali si sveglino improvvisamente a deroga scaduta, scoprendo che non sono in grado di garantire i servizi. Si svegliano improvvisamente e invocano una proroga impossibile che giustamente il Ministro Lorenzin rifiuta, perché sarebbe oggetto di sanzione da parte dell'UE. Ma loro cosa hanno fatto nell'anno di proroga concesso, per consentire di approntare le misure necessarie? Nulla, forse illudendosi che si riperpetuasse l'andazzo italiano delle proroghe infinite. Si rifugiano dietro la scusa del blocco del turn over e dei piani di rientro, questioni reali, ma che fine ha fatto la riorganizzazione delle rete ospedaliera e territoriale che avrebbe consentito un migliore utilizzo di risorse e personale? Chi è che continua a tenere aperti Ospedali insicuri per esclusivi motivi elettorali?». Inizia così una nota del CIMO, un sindacato dei medici italiani che riporta alla luce una problematica attualissima: l'orario di lavoro di medici e personale sanitario all'interno delle strutture ospedaliere pubbliche. Il 25 novembre è diventata finalmente attuativa la Legge 30 ottobre 2014, n. 161, che con l'art. 14 riallinea anche per i medici ed il personale sanitario la nostra giurisprudenza agli altri paesi della CE in materia di orario di lavoro e durata dei riposi. In particolare, la legge prevede come minimo 11 ore consecutive di riposo giornaliero, massimo 48 ore di lavoro settimanale, compreso lo straordinario, 24 ore di riposo settimanale e almeno 4 settimane di riposo annuale.

Che succede nella nostra regione ed in particolare nella nostra ASL? La situazione è in bilico e pronta ad esplodere perchè, come ricordato dallo stesso sindacato CIMO, non è stato fatto sostanzialmente nulla per affrontare, nell'anno di proroga l'emergenza a cui si sarebbe andati incontro. Di conseguenza si stanno susseguendo in questi giorni gli incontri in regione per trovare soluzioni ma in sostanza il Direttore Generale dell'ASL BT, Ottavio Narracci, ha demandato ai Direttori dei Presidi (dott. Grilli per Andria-Canosa, il dott. D'Oronzo per Barletta e per Bisceglie-Trani il dott. Campanile) il compito di accorpare e stringere i reparti con grave danno per l'utenza.

«L'art. 22 del Patto per la Salute che avrebbe dovuto dare risposte in termini di accesso al SSN e dotazioni organiche - prosegue il CIMO - è fermo da un anno in Conferenza Stato Regioni; sono stati tagliati i posti medici di direzione lasciando inalterata la dispersione dei professionisti nei vari presidi preesistenti, ignorando i principi del DM sugli standard qualitativi ed organizzativi. Il contratto di lavoro conteneva norme per garantire adeguati riposi ai medici anche al fine di garantire la sicurezza delle cure prestate ai cittadini, ma non contenendo sanzioni sono state sistematicamente ignorate da chi amministra la salute. Adesso che rischiano di dover pagare di persona la loro incapacità gestionale ed organizzativa si ribellano, si inventano leggi illegittime come la Regione Basilicata oppure essendo impotenti nel mettere in piedi idonei strumenti organizzativi, scaricano sui direttori di unità complessa, dirigenti solo sulla carta, la responsabilità di adeguarsi alle norme. Ci appelliamo al Parlamento che ha all'esame la riforma del titolo V: togliete la gestione della salute degli italiani a chi ha dimostrato di non essere in grado di farlo od almeno introducete meccanismi forti di garanzia e di intervento centrale».