Operazione antimafia nel nord Barese: "Andria, paese nostro"

Dall'attentato all'autovettura di un Carabiniere in servizio ad Andria si è sviluppato un prezioso filone di indagine

martedì 16 maggio 2023 13.55
Le indagini della Dda di Bari che oggi hanno portato all'arresto - con custodia cautelare in carcere - di 20 persone ritenute appartenenti al clan Pistillo di Andria sono cominciate nel 2020, dopo un attentato dinamitardo nei confronti dell'auto di un vicebrigadiere dei carabinieri in servizio alla Compagnia di Andria, che aveva partecipato ad operazioni contro lo stesso clan. Il fatto avvenne l'11 febbraio di quell'anno e l'auto dell'uomo, residente a Ruvo di Puglia, fu fatta esplodere con un ordigno artigianale in piena notte davanti alla sua abitazione. Delle venti persone raggiunte da provvedimenti dell'Autorità giudiziaria, cinque sono di Altamura, una di Canosa di Puglia, una delle provincia di Taranto e le restanti sono di Andria.

Le indagini successive all'attentato dinamitardo, pur non riuscendo a dimostrare la matrice della grave intimidazione, hanno però dato agli inquirenti numerose informazioni relative all'organizzazione gerarchica e all'attività dell'associazione. Un sodalizio che, pur avendo sede 'operativa' ad Andria, aveva collegamenti anche con il clan Capriati di Bari e con altre realtà criminali dei comuni limitrofi e delle province di Brindisi e Taranto.
Nei confronti dell'associazione, la Dda ha infatti riconosciuto l'aggravante del metodo mafioso sia nel continuo ricorso ad atti intimidatori, sia nell'utilizzo dei proventi del traffico di stupefacenti per agevolare la sopravvivenza del sodalizio e dei suoi membri in carcere.
In particolare, alcuni indagati - intercettati - parlavano di Andria come di "paese nostro", ed erano soliti risolvere le controversie sulle piazze di spaccio ricorrendo alle armi: "I membri del clan - ha detto la sostituta procuratrice Daniela Chimenti - usavano abitualmente la violenza per chiudere le questioni sulla gestione dello spaccio ad Andria. In un caso, dopo un litigio tra alcuni di loro e altri esterni all'associazione, i primi non esitarono ad armarsi per ristabilire il loro predominio territoriale sulla città".

Ma nell'inchiesta della Dda barese è emerso il ruolo di primissimo rilievo svolto dalle donne del clan Pistillo, in particolare di tre, di cui due (di 37 e 40 anni) mogli dei capiclan Michele e Francesco Pistillo, in carcere dal 2000.

Secondo gli inquirenti, le due, di fatto, gestivano l'associazione consentendo ai due capi di continuare a controllarla dal carcere, ed erano in grado non solo di dare ai sodali le direttive dei boss, ma anche di gestire le risorse finanziarie del clan, organizzando autonomamente le 'spartenze' delle piazze di spaccio e del denaro. La terza donna arrestata, di 39 anni, non era moglie di un capo ma era pienamente coinvolta nel traffico degli stupefacenti.

"Va abbandonata l'idea romantica del ruolo di freno che le donne avrebbero rispetto all'attività degli uomini - ha detto il procuratore aggiunto Francesco Giannella, coordinatore della Dda di Bari -. Anzi, da tempo assistiamo a una crescita dell'importanza del loro ruolo nelle organizzazioni malavitose del territorio. Oggi, in molti casi, le donne sono quantomeno luogotenenti di mariti o compagni detenuti, e gestiscono per conto loro il traffico degli stupefacenti". "In passato - ha aggiunto Giannella - ci sono state storiche collaboratrici di giustizia che hanno rotto gli schemi dei clan e aiutato in maniera decisiva le indagini. Adesso, però, non è più scontato che sia così".