Nella BAT le aziende spendono 11mila euro per le imposte locali

Studio di Confartigianato: la sesta provincia è la meno cara in Puglia

martedì 29 settembre 2015 10.49
A cura di Stefano Massaro
La Provincia di Barletta Andria Trani è la meno cara in Puglia per le principali imposte locali ma le aziende devono comunque mettere nel budget annuale poco meno di 11mila euro. E' quanto rileva il Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia che ha calcolato il peso della fiscalità locale, rappresentata dall'imposta regionale sulle attività produttive (Irap), dall'addizionale regionale Irpef, dall'addizionale comunale Irpef, dall'imposta municipale unica (Imu) e dalla tassa sui servizi indivisibili (Tasi). In particolare, lo studio prende a riferimento l'impatto dei tributi su un'impresa-tipo con cinque addetti (di cui tre lavoratori dipendenti con reddito medio di 20.600 euro e due lavoratori indipendenti con reddito medio di 39.710 euro). E L'incremento del prelievo è stato trainato dal boom della tassazione immobiliare che ha colpito in maniera prevalente le imprese di micro e piccole dimensioni.

Le aziende pugliesi, ancor più che nella BAT, spendono, in media ben 11.252 euro all'anno per le sole principali imposte locali. Di più: in base ad un'analisi condotta dalla Direzione delle politiche fiscali di Confartigianato sulle modalità di applicazione dei tributi comunali sugli immobili si registra un aggravio del prelievo fiscale a causa dall'indeducibilità dell'Imu, che genera l'effetto perverso di ulteriori tasse sulle tasse, con un extragettito di Irpef ed Irap. Nel complesso la «tassa sulla tassa» pagata in Puglia ammonta a 930 euro di maggiore prelievo Irpef ed Irap, incrementando del 9 per cento il prelievo locale. In dettaglio, una ditta della provincia di Bari paga, per i cinque tributi, 10.260 euro, a cui si aggiungono 922 euro per l'indeducibilità dell'Imu, per un totale di 11.182 euro. Un'impresa della provincia di Barletta-Andria-Trani sborsa 10.081 euro, più 915 per la «tassa sulla tassa», per un importo complessivo di 10.996 euro. Un'azienda di Brindisi versa 10.268, oltre a 858 euro per l'indeducibilità dell'Imu, per un totale di 11.126 euro. Una di Foggia spende 10.390 euro, più 943, per una somma di 11.333 euro. Una di Lecce corrisponde 10.355 euro, più 951, per un importo complessivo di 11.306 euro. Una di Taranto 10.505 euro, più 959, per un totale di 11.464. La media per un'azienda pugliese è di 10.322 euro per i cinque tributi, più 930 per la «tassa sulla tassa», per una somma di 11.252 euro, pari a 2.250 per ciascun addetto.

«I dati elaborati dal nostro Centro studi – commenta Francesco Sgherza, presidente di Confartigianato Imprese Puglia – mettono a nudo una situazione ormai insostenibile, specialmente per le piccole imprese. Sono i risultati – spiega Sgherza – di un federalismo mal concepito e mal attuato che ha prodotto un sistema di tassazione ingarbugliato oltre ogni comprensione, scaricando a livello locale la maggior parte della pressione fiscale. Troppe tasse, peraltro pagate in modo troppo complicato, non sono certo un buon viatico per la ripresa. Si continua a parlare della riduzione dell'IRAP, ma le piccole imprese – ossia la quasi totalità nel Paese ed anche nella nostra Regione – sono quelle che meno beneficiano di tale intervento. Innanzitutto occorre assolutamente districare il trittico IMU/TASI/TARI: la semplificazione è il primo passo da compiere per consentire al contribuente di comprendere cosa e perché lo sta pagando. Contestualmente, va ridotta la tassazione sugli immobili produttivi: è un'assurdità che vengano considerati alla stregua di seconde case. Infine – conclude il presidente – è ora che il Governo passi dalle promesse ai fatti, dando seguito alla delega fiscale. La determinazione dei redditi delle imprese in contabilità semplificata secondo il criterio di cassa in modo tale che le tasse si paghino sulle fatture realmente incassate o la definizione del nuovo regime forfetario sono provvedimenti che non possono più aspettare, perlomeno se vogliamo dare una chance al Paese di agganciare la ripresa». V

a ricordato che nell'arco dell'ultimo decennio l'Italia è il Paese europeo che ha registrato la più alta crescita della pressione fiscale, con un aumento di 4,2 punti percentuali e arrivando nel 2015 al 43,4 per cento del Prodotto interno lordo (Pil). Tra il 2005 e il 2015 il Pil nominale è cresciuto di 144,3 miliardi (+9,7 per cento), mentre le entrate fiscali sono salite di 145,2 miliardi (+22,7 per cento). In parallelo la spesa primaria corrente è salita di 134,9 miliardi (+23,8 per cento), la spesa per interessi di 2,8 miliardi (+4,2 per cento) mentre la spesa in conto capitale è scesa di 12,7 miliardi (-18,4 per cento). Dal 2009 i trasferimenti statali sono progressivamente diminuiti e dal 2011 le imposte prelevate dalle amministrazioni locali superano stabilmente i trasferimenti pubblici. Nel 2014 le amministrazioni locali hanno prelevato per imposte dirette, indirette ed in conto capitale 106,1 miliardi di euro, pari al 44,4 per cento delle entrate complessive di questi enti, a cui si affiancano 86,2 milioni di trasferimenti da altri enti pubblici. A seguito dello scoppio della crisi del debito sovrano, tra il 2011 e il 2014, le imposte dirette e indirette prelevate dalle amministrazioni pubbliche sono salite di 20.930 milioni di euro, di cui i tre quarti (76,8 per cento, pari a 16.072 milioni di maggiore gettito) derivano dalle cinque primarie imposte locali: Irap, Addizionali Irpef, Imu e Tasi.