Montepulciano: "Come l'agricoltura può rappresentare una considerevole fonte di inquinamento"
Lo storico ambientalista andriese ci fornisce un altro interessante spunto di riflessione sulla condizione in cui versa il nostro habitat
martedì 6 novembre 2018
7.11
Una nuova sferzata su quelle che sono le condizioni in cui versa la nostra agricoltura, la compie Nicola Montepulciano, storico ambientalista di Andria, conosciuto ed apprezzato per tante battaglie a favore della difesa dell'ambiente e della migliore qualità della vita. Uno scritto su cui vale la pena di riflettere.
"L'agricoltura italiana consuma ogni anno 130 mila tonnellate di prodotti agrochimici, di questi gran parte contaminano le acque ( 2016 ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale). E non è ancora ben noto l'effetto cumulativo della tante sostanze agrochimiche immesse nell'ambiente. L'agricoltura andriese quanta parte di queste tonnellate utilizza annualmente? E quanta ne vaga nell'aria? Capita, quando si transita in macchina nelle strade della nostra periferia durante il periodo di irrorazione, di vedere il parabrezza riempirsi di minutissime goccioline. Sono quelle dei fitofarmaci, cioè veleni. Bisogna spruzzare acqua e azionare i tergicristalli. Le periferie, quindi, possono essere raggiunte da dosi di fitofarmaci. Questi veleni, inoltre, sono spruzzati con automezzi a benzina o diesel, che emettono gas di scarico, cioè altro veleno. Per alcuni giorni è sconsigliato entrare nei campi irrorati con simili sostanze, che finiscono col distruggere tutti gli insetti, anche quelli molto utili come, per es., le coccinelle. E' probabile che gli indumenti di chi irrora siano, in qualche misura, contaminati. Vengono lavati immediatamente? Viene da pensare che chi prende quegli indumenti per lavarli possa respirare residui di quei veleni, seppure in minima quantità. Le macchine irroratrici vengono lavate dopo l'uso? A questo punto è facile chiedersi: " i prodotti orticoli ed agricoli quanti residui tossici contengono"? Cosa succede poi quando i fumi di industrie di città circonvicine attraversano le nostre campagne e orti? Potrebbero raccogliere, eventualmente, i periodici veleni delle irrorazioni e raggiungere le nostre periferie dove spesso si brucia di tutto?
In tutte le campagne che frequentiamo per motivi di studio -prosegue Nicola Montepulciano-, si trovano immancabilmente bossoli di fucili da caccia. A volte in alcune zone della Murgia e ai bordi di boschi si rinvengono tappeti di bossoli, che, per legge, i cacciatori sono tenuti a raccogliere. Il bossolo è costituito da un fondo di metallo ferroso (fondello) con un cilindretto di plastica, raramente di cartone, contenente pallini di piombo. Col passar del tempo il fondo si arrugginisce e la plastica si riduce in piccoli frammenti che rimangono per sempre nel terreno. In un solo anno i cacciatori rilasciano nel territorio italiano milioni e milioni di cartucce, spargendo nell'ambiente tonnellate e tonnellate di piombo, una alluvione plumbea che investe prati, boschi, campi agricoli, zone umide, etc. Detto piombo inquina il suolo per molto tempo con conseguenze gravi per molte forme di esseri viventi, uomini, animali e piante, che ne entrano in contatto. In forma ionica nel suolo può essere assorbito dalle piante, entrare nella catena alimentare, interessare livelli trofici superiori fino ad arrivare all'uomo. Quanto di questo veleno ci regalano i cacciatori nelle campagne di Andria e nella nostra Murgia? E' stata mai fatta una ricerca su quanto piombo e altri metalli contengano le erbe spontanee che mangiamo noi e gli animali pascolanti? E sui funghi spontanei? E' bene non mangiare la piccola selvaggina (storni, fagiani, anatre selvatiche, etc) per via dei pallini che possono residuare nel piccolo corpo.
Per la selvaggina grossa (cinghiali, cervi, etc) si può verificare frammentazione dei proiettili a seguito dell'impatto con il corpo dell'animale. C'è, così, un'alta probabilità di ingerire piombo insieme alla carne di selvaggina" conclude Nicola Montepulciano, rimandandoci a breve ad un suo nuovo scritto.
"L'agricoltura italiana consuma ogni anno 130 mila tonnellate di prodotti agrochimici, di questi gran parte contaminano le acque ( 2016 ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale). E non è ancora ben noto l'effetto cumulativo della tante sostanze agrochimiche immesse nell'ambiente. L'agricoltura andriese quanta parte di queste tonnellate utilizza annualmente? E quanta ne vaga nell'aria? Capita, quando si transita in macchina nelle strade della nostra periferia durante il periodo di irrorazione, di vedere il parabrezza riempirsi di minutissime goccioline. Sono quelle dei fitofarmaci, cioè veleni. Bisogna spruzzare acqua e azionare i tergicristalli. Le periferie, quindi, possono essere raggiunte da dosi di fitofarmaci. Questi veleni, inoltre, sono spruzzati con automezzi a benzina o diesel, che emettono gas di scarico, cioè altro veleno. Per alcuni giorni è sconsigliato entrare nei campi irrorati con simili sostanze, che finiscono col distruggere tutti gli insetti, anche quelli molto utili come, per es., le coccinelle. E' probabile che gli indumenti di chi irrora siano, in qualche misura, contaminati. Vengono lavati immediatamente? Viene da pensare che chi prende quegli indumenti per lavarli possa respirare residui di quei veleni, seppure in minima quantità. Le macchine irroratrici vengono lavate dopo l'uso? A questo punto è facile chiedersi: " i prodotti orticoli ed agricoli quanti residui tossici contengono"? Cosa succede poi quando i fumi di industrie di città circonvicine attraversano le nostre campagne e orti? Potrebbero raccogliere, eventualmente, i periodici veleni delle irrorazioni e raggiungere le nostre periferie dove spesso si brucia di tutto?
In tutte le campagne che frequentiamo per motivi di studio -prosegue Nicola Montepulciano-, si trovano immancabilmente bossoli di fucili da caccia. A volte in alcune zone della Murgia e ai bordi di boschi si rinvengono tappeti di bossoli, che, per legge, i cacciatori sono tenuti a raccogliere. Il bossolo è costituito da un fondo di metallo ferroso (fondello) con un cilindretto di plastica, raramente di cartone, contenente pallini di piombo. Col passar del tempo il fondo si arrugginisce e la plastica si riduce in piccoli frammenti che rimangono per sempre nel terreno. In un solo anno i cacciatori rilasciano nel territorio italiano milioni e milioni di cartucce, spargendo nell'ambiente tonnellate e tonnellate di piombo, una alluvione plumbea che investe prati, boschi, campi agricoli, zone umide, etc. Detto piombo inquina il suolo per molto tempo con conseguenze gravi per molte forme di esseri viventi, uomini, animali e piante, che ne entrano in contatto. In forma ionica nel suolo può essere assorbito dalle piante, entrare nella catena alimentare, interessare livelli trofici superiori fino ad arrivare all'uomo. Quanto di questo veleno ci regalano i cacciatori nelle campagne di Andria e nella nostra Murgia? E' stata mai fatta una ricerca su quanto piombo e altri metalli contengano le erbe spontanee che mangiamo noi e gli animali pascolanti? E sui funghi spontanei? E' bene non mangiare la piccola selvaggina (storni, fagiani, anatre selvatiche, etc) per via dei pallini che possono residuare nel piccolo corpo.
Per la selvaggina grossa (cinghiali, cervi, etc) si può verificare frammentazione dei proiettili a seguito dell'impatto con il corpo dell'animale. C'è, così, un'alta probabilità di ingerire piombo insieme alla carne di selvaggina" conclude Nicola Montepulciano, rimandandoci a breve ad un suo nuovo scritto.