Lettera alla comunità del SS. Sacramento di Andria per il 50° anniversario della parrocchia

I sacerdoti don Vincenzo Giannelli e don Alessandro Chieppa scrivono ai parrocchiani in vista della ricorrenza il 6 gennaio

lunedì 4 gennaio 2021 12.19
Carissimi parrocchiani,
il prossimo 6 gennaio 2021 ricorre il 50° della erezione canonica della nostra parrocchia e l'inizio delle attività pastorali. Avevamo messo in programma diverse iniziative, che speriamo di recuperare per la festa della parrocchia nel mese di giugno coronavirus permettendo, ma che attualmente non possiamo realizzare per i ben noti motivi che tutti conosciamo.

Non poteva passare nel silenzio questa circostanza così importante per la nostra comunità parrocchiale e allora abbiamo chiesto al nostro Vescovo, mons. Luigi Mansi, di presiedere la celebrazione eucaristica delle ore 18.00 del 6 gennaio prossimo e concelebrata, oltre che da me e don Alessandro, anche dai sacerdoti che hanno svolto il loro ministero nella nostra comunità o che hanno visto la loro vocazione formarsi in essa. Sarà un momento di rendimento di grazie al Signore per tutto il cammino compiuto in questi anni grazie all'impegno e alla buona volontà dei diversi sacerdoti che si sono avvicendati e di tanti fedeli laici che hanno segnato, con la loro testimonianza di vita, il tessuto sociale ed ecclesiale del territorio.

Senz'altro gli inizi non sono stati facili, però una cosa emerge dallo scritto di Mons. Lanave, l'ansia della Chiesa locale di raggiungere le periferie: "Andria da tempo ha superato i confini dell'antica città e si estende in tutte le direzioni creando problemi di strutture e di assistenza. Per venire incontro alle necessità dei nuovi rioni, già il mio predecessore Mons. Francesco Brustia provvide a dei terreni per le nuove parrocchie. Per questo rione procurò, ai confini della Sidergas, un campo di circa 4000 mq…. Non potendo procrastinare una doverosa assistenza alle famiglie che vanno sistemandosi nei vari complessi, abbiamo pensato di collocare provvisoriamente in un locale del palazzo Pellegrino una Cappella e un ufficio parrocchiale". Segue la grande intuizione: "Sarà questo il centro da cui si partirà per la creazione di una catena di chiese domestiche, cioè di famiglie che ospiteranno nelle loro case, per incontri religiosi di preghiera e di formazione, altre famiglie vicine o amiche. Ed è qui dove le varie chiese domestiche converranno per le liturgie domenicali, per seguire ed aiutare la progettazione e la costruzione della nuova parrocchia".

E' stato bello constatare che nel tempo questo sogno di Mons. Lanave è diventato una realtà: costruire una Chiesa di pietre vive prima di costruire quella di pietra. Soleva dire: "La Chiesa deve arrivare nelle periferie prima delle famiglie in modo da accoglierle e fare avvertire la vicinanza di una comunità cristiana che non tralascia e dimentica nessuno". Solo nel 1977, e precisamente il 7 dicembre, avvenne la benedizione del primo complesso parrocchiale comprendente l'aula liturgica e alcuni locali destinati alle attività pastorali. Bisognerà attendere il 24 giugno 2000 per vedere realizzato l'edificio ecclesiale che oggi ammiriamo. Una cosa è certa, l'etimologia della parola parrocchia (dal greco para oikia: "vicino alla casa", "tra le case") manifesta in pieno l'identità della parrocchia: la casa di Dio tra le case degli uomini. Una casa in cui tutti trovano posto e si sentono a proprio agio come in famiglia. Una "casa" in cui ognuno sa che può incontrare Qualcuno a cui aprire il proprio cuore ed essere ascoltato, incoraggiato, rimotivato.

A pensarci bene, tuttavia, si deve riconoscere che la parrocchia non ha un territorio diverso da quello civile; le due dimensioni, quella civile ed ecclesiale, coincidono nella prospettiva parrocchiale. Si vuole dire, insomma, che i problemi, le ansie, le speranze della comunità civile sono le stesse della comunità ecclesiale e che nella parrocchia trovano un punto d'incontro. Stando così immersi in questa realtà cittadina, costituita dal territorio della parrocchia che è anche parte della città, come non accorgersi di chi è accanto a noi, con i suoi bisogni e con le sue necessità? Siano o non siano appartenenti alla comunità parrocchiale; siano o non siano credenti e praticanti, come non accorgersi della loro presenza?

La crisi sociale ed economica, anche a causa del coronavirus sta colpendo sempre più duramente ampie fasce della popolazione; la povertà si trasforma e cambia aspetto, e noi siamo chiamati a moltiplicare gli sforzi per alleviare tanta sofferenza. Dobbiamo essere capaci di sollevare lo sguardo dal nostro particolare, cogliere ogni emarginazione e diversità, soccorrere i deboli e gli ultimi e cercare nuove vie di solidarietà. Siamo chiamati a schiodare i nuovi "crocifissi", ad operare "deposizioni dalle croci"; siamo chiamati a lenire con il balsamo della misericordia le piaghe della gente, sconfitta, lacerata, umiliata, dissanguata, depressa, che ci passa accanto: sono i disoccupati, i cassintegrati, gli sfrattati, gli extracomunitari, i segnati dall'alcool, dalla droga e dal gioco. Solo una comunità che, come Gesù buon samaritano, riesce ancora a commuoversi di fronte ai bisogni, ai problemi, alle ansie e alle attese di chi è accanto, cerca di dare delle risposte, si prende cura dell'uomo malcapitato, fasciandone le ferite e caricandolo sul suo giumento, mostra concretamente il volto misericordioso di Dio che, seppure onnipotente, vuole avere bisogno di noi, perché tutti capiscano che è in Suo nome che ci "sporchiamo" le mani.

Certo possiamo, come comunità parrocchiale, fare finta di non vedere e passare oltre, oppure fare nostro l'atteggiamento di Gesù che "vedendo le folle, ne sentì compassione" (Mt 9,36). Solo uno sguardo diverso dal semplice guardare ci permette di "vedere" l'altro, conosciuto o sconosciuto, nella sua dignità di uomo o di donna. Il papà della parabola del "Padre misericordioso" quando vede venire verso casa il figlio così sfigurato e malconcio dice il vangelo di Luca "fu preso da viscerale compassione" (Lc 15,20). Ecco il compito a cui la nostra comunità parrocchiale è chiamata! Al di fuori di questa ottica risulterà un luogo dove si amministrano i sacramenti, si erogano servizi, si sbrigano adempimenti burocratici… insomma una stazione di servizio dove si va solo quando si ha bisogno.

Solo se entriamo in un'ottica nuova, diversa e sentiamo la parrocchia come la nostra famiglia possiamo continuare ad essere le antenne pronte a captare i bisogni e le necessità degli altri. L'augurio che noi sacerdoti vi facciamo è che vi lasciate travolgere dalla gioia di appartenere a questa grande famiglia, che è la comunità parrocchiale, e impegnati nel rendere sempre più credibile il vostro essere cristiani. Non si può essere solo e sempre spettatori.

I vostri sacerdoti
don Vincenzo Giannelli e don Alessandro Chieppa