La Pace comincia da noi, dal lavoro, dal dialogo
Riflessione di Gennaro Piccolo, referente del centro Igino Giordani di Andria
sabato 1 gennaio 2022
Quando si chiedeva a Igino Giordani cosa possiamo fare noi per la pace, egli ci dava un consiglio: «Aprire il cuore come una conchiglia a raccogliere la voce oceanica dell'umanità e mettere a circolare l'amore e la ricchezza – il bene e i beni – sopprimendo gli sbarramenti di razza e classe, le dogane dello spirito, i pedaggi della felicità; vedere nell'uomo, chiunque esso sia, facchino o barone, comunista o democratico estero o nazionale, bianco o colorato, lo stesso Dio in effige"». (1)
Ma attenzione! La mondialità a cui vogliamo educare gli altri, comincia da noi. Come singoli, come impegno di ciascuno, e come insieme. Avere ognuno questa anima-umanità di cui Giordani ci è modello. Ecco perché la cultura della Pace deve collocare la figura di Igino Giordan fra i testimoni più vivi del ventesimo secolo. La sua azione e il suo pensiero hanno avuto modo di svolgersi in tempi assai difficili, impossibili si potrebbe dire per una scelta di pace, come quelli della prima guerra mondiale. In quel clima, il "massimo" di pace si esprimeva nella posizione "neutralista", dettata dalla considerazione che si sarebbero ottenuti maggiori vantaggi dalla scelta di non entrare in guerra.
LAVORO: Igino Giordani attingeva direttamente dal Vangelo anche quando rivolge una specifica attenzione ai significati profondi del lavoro umano e ci aiuta a scoprire che un modo concreto di attuare la "santificazione" mediante il lavoro sta nel "mantenersi" sempre integro nell'adempimento dei propri doveri all'ufficio, all'officina, in città e in campagna.". In tal modo scrive: "La nostra giornata diviene un'operazione religiosa: il nostro camminare, parlare, lavorare, una funzione liturgica". Siamo sempre in una cattedrale, sempre davanti a Dio per fargli onore…Direttamente mettiamo mattoni, rattoppiamo scarpe, scassiamo la terra ma indirettamente - e più realmente ancora - noi rendiamo testimonianza a Dio, al cospetto della nostra coscienza e di quella della società"..(2)
DIALOGO: Igino Giordani è anche uomo del "dialogo". Per lui il dialogo è vita. Il dialogo è atto d'amore. Il dialogo è atto di coraggio e questo i laici devono riprenderlo in ogni ambito sociale, dove si trovano a vivere o a lavorare: nelle scuole, uffici, sindacati, cooperative, partiti ecc, al fine di generare una convivenza di stima, di letizia e fraternità, contro la trasmissione di dispetti, rancori. Tornando a uno dei tratti più vivi della sua esperienza spirituale vissuti in guerra, scrive in "Rivolta cattolica: «Quando ho visto un soldato ungherese o un austriaco ferito in un crepaccio di roccia, o rannicchiato in una fossa di granata, io non l'ho saputo odiare. Reo di lesa Patria? Pazienza: non ho saputo spremere dal mio tessuto spirituale una stilla d'odio. E anche di fronte a quella faccia smorta e atterrita, mi sono ricordato del Logion di Gesù: "Vedesti il fratello, vedesti il Signore"».(3)
Quando Igino Giordani scrive queste sue testimonianze ha alle spalle gli anni tragici della Grande Guerra e ha già cominciato a collaborare con don Luigi Sturzo.
Ma attenzione! La mondialità a cui vogliamo educare gli altri, comincia da noi. Come singoli, come impegno di ciascuno, e come insieme. Avere ognuno questa anima-umanità di cui Giordani ci è modello. Ecco perché la cultura della Pace deve collocare la figura di Igino Giordan fra i testimoni più vivi del ventesimo secolo. La sua azione e il suo pensiero hanno avuto modo di svolgersi in tempi assai difficili, impossibili si potrebbe dire per una scelta di pace, come quelli della prima guerra mondiale. In quel clima, il "massimo" di pace si esprimeva nella posizione "neutralista", dettata dalla considerazione che si sarebbero ottenuti maggiori vantaggi dalla scelta di non entrare in guerra.
LAVORO: Igino Giordani attingeva direttamente dal Vangelo anche quando rivolge una specifica attenzione ai significati profondi del lavoro umano e ci aiuta a scoprire che un modo concreto di attuare la "santificazione" mediante il lavoro sta nel "mantenersi" sempre integro nell'adempimento dei propri doveri all'ufficio, all'officina, in città e in campagna.". In tal modo scrive: "La nostra giornata diviene un'operazione religiosa: il nostro camminare, parlare, lavorare, una funzione liturgica". Siamo sempre in una cattedrale, sempre davanti a Dio per fargli onore…Direttamente mettiamo mattoni, rattoppiamo scarpe, scassiamo la terra ma indirettamente - e più realmente ancora - noi rendiamo testimonianza a Dio, al cospetto della nostra coscienza e di quella della società"..(2)
DIALOGO: Igino Giordani è anche uomo del "dialogo". Per lui il dialogo è vita. Il dialogo è atto d'amore. Il dialogo è atto di coraggio e questo i laici devono riprenderlo in ogni ambito sociale, dove si trovano a vivere o a lavorare: nelle scuole, uffici, sindacati, cooperative, partiti ecc, al fine di generare una convivenza di stima, di letizia e fraternità, contro la trasmissione di dispetti, rancori. Tornando a uno dei tratti più vivi della sua esperienza spirituale vissuti in guerra, scrive in "Rivolta cattolica: «Quando ho visto un soldato ungherese o un austriaco ferito in un crepaccio di roccia, o rannicchiato in una fossa di granata, io non l'ho saputo odiare. Reo di lesa Patria? Pazienza: non ho saputo spremere dal mio tessuto spirituale una stilla d'odio. E anche di fronte a quella faccia smorta e atterrita, mi sono ricordato del Logion di Gesù: "Vedesti il fratello, vedesti il Signore"».(3)
Quando Igino Giordani scrive queste sue testimonianze ha alle spalle gli anni tragici della Grande Guerra e ha già cominciato a collaborare con don Luigi Sturzo.
- In: "Le due città edizione 1961 p.493
- In:: "il Il Padre Nostri preghiera sociale p.38
- In: "Rivolta cattolica edizione 1997 p. 22.