La malattia: tempo della fedeltà provata
Riflessione di don Ettore Lestingi per la Giornata Mondiale del Malato e memoria liturgica della Madonna di Lourdes l'11 febbraio
giovedì 10 febbraio 2022
Venerdì 11 febbraio, la Chiesa celebra la memoria liturgica della Madonna di Lourdes, XXX Giornata Mondiale del Malato. «Tale Giornata indetta da san Giovanni Paolo II - scrive don Ettore Lestingi, presidente della Commissione Liturgica della diocesi di Andria - ha lo scopo di sensibilizzare l'attenzione del mondo ecclesiale e quello civile alla stagione più delicata della vita di ciascuno di noi: la stagione della malattia, quale manifestazione della fragilità umana e della consapevolezza che nessuno può vivere da solo, ma esiste una interdipendenza intesa e vissuta come solidarietà. Parlare di malattia è molto facile, ma parlare del malato risulta molto difficile, perché ciò comporta scrutare i sentimenti di chi è costretto a vivere una condizione che non la sente sua, come chi in terra straniera si sente esiliato. Ma ancor più difficile è parlare da malato, da chi cioè ha vissuto e vive nella sua carne una condizione di fragilità e precarietà imprevista, inaspettata e inabilitante.
Anche se nel tempo della malattia Dio si fa presente attraverso mani solidali e pietose che, facendosi prossime, "versano sulle ferite l'olio della consolazione e vino di speranza e, grazie a loro, la notte del dolore si apre alla luce pasquale del Crocifisso Risorto", l'esperienza del dolore ti inchioda alla croce della solitudine e dell'abbandono. E se è facile far risuonare nei cuori della gente la Parola di Cristo che dice: "se qualcuno vuol venire dietro a me prenda ogni giorno la sua croce e mi segua", è umanamente difficile accettarla nella propria vita. Perché in quel momento giunge l'ora della "fedeltà provata", perché non è Dio a darti la croce, ma sono le circostanze della vita e ciò che è messa a dura prova è la fedeltà a Dio. La fede vacilla, la notte del dolore è insopportabile e interminabile è il dolore della notte, sei esiliato da te stesso e i canti del Signore diventano lamenti strazianti di dolore. La luce del giorno ti illumina e ti distrae, "ma quando arriva la notte e resti solo con te, la testa parte e va in giro cercando i suoi perché". "Sentinella, quanto resta della notte?" (Custos, quid de nocte?).
Nessuno ti risponde perché solo tu sei sveglio in compagnia delle tue lacrime. Non vedi l'ora che arrivi il mattino per incontrare i medici e ascoltare da loro i bollettini medici, e il tuo cuore impazzisce nell'attesa di una parola di speranza. Ma tutto è ancora incerto… E ripiombi nella paura, vuoi fuggire dalla vista di tutti e, le uniche parole che ti restano sono quelle del salmo n° 138: "Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte". La malattia, per quanto abbia una dimensione salvifica (cfr. Salvifici Doloris di Papa Giovanni Paolo II) è e resta una condizione da cui liberarsi. Non per niente Gesù nella sua vita terrena ha curato e guarito tutti coloro che erano "prigionieri del male" e ha sconfitto la morte. Come vivere allora la malattia come tempo di grazia o stagione della vita piena di significato? Nel silenzio, alla scuola del Maestro interiore: il tuo dolore."Sentinella, quanto resta della notte?" Arriverà il momento in cui risposta ci sarà: "Arriva il giorno". E rifiorisce la speranza».
Anche se nel tempo della malattia Dio si fa presente attraverso mani solidali e pietose che, facendosi prossime, "versano sulle ferite l'olio della consolazione e vino di speranza e, grazie a loro, la notte del dolore si apre alla luce pasquale del Crocifisso Risorto", l'esperienza del dolore ti inchioda alla croce della solitudine e dell'abbandono. E se è facile far risuonare nei cuori della gente la Parola di Cristo che dice: "se qualcuno vuol venire dietro a me prenda ogni giorno la sua croce e mi segua", è umanamente difficile accettarla nella propria vita. Perché in quel momento giunge l'ora della "fedeltà provata", perché non è Dio a darti la croce, ma sono le circostanze della vita e ciò che è messa a dura prova è la fedeltà a Dio. La fede vacilla, la notte del dolore è insopportabile e interminabile è il dolore della notte, sei esiliato da te stesso e i canti del Signore diventano lamenti strazianti di dolore. La luce del giorno ti illumina e ti distrae, "ma quando arriva la notte e resti solo con te, la testa parte e va in giro cercando i suoi perché". "Sentinella, quanto resta della notte?" (Custos, quid de nocte?).
Nessuno ti risponde perché solo tu sei sveglio in compagnia delle tue lacrime. Non vedi l'ora che arrivi il mattino per incontrare i medici e ascoltare da loro i bollettini medici, e il tuo cuore impazzisce nell'attesa di una parola di speranza. Ma tutto è ancora incerto… E ripiombi nella paura, vuoi fuggire dalla vista di tutti e, le uniche parole che ti restano sono quelle del salmo n° 138: "Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte". La malattia, per quanto abbia una dimensione salvifica (cfr. Salvifici Doloris di Papa Giovanni Paolo II) è e resta una condizione da cui liberarsi. Non per niente Gesù nella sua vita terrena ha curato e guarito tutti coloro che erano "prigionieri del male" e ha sconfitto la morte. Come vivere allora la malattia come tempo di grazia o stagione della vita piena di significato? Nel silenzio, alla scuola del Maestro interiore: il tuo dolore."Sentinella, quanto resta della notte?" Arriverà il momento in cui risposta ci sarà: "Arriva il giorno". E rifiorisce la speranza».