Giornata della Memoria: scrivere per non dimenticare

Furono circa 17milioni le persone che persero la vita a causa dei processi di “arianizzazione” promossi dal Reich

mercoledì 27 gennaio 2021 11.18
A cura di Giovanna Albo
Sono trascorsi 76 anni da quando i cancelli dei campi di concentramento - per primo Auschwitz- furono aperti dall'Armata Rossa e dai soldati Usa. Quello che vi trovarono e sentirono furono ossa umane accatastate come spazzatura e puzza acre di cadaveri, scambiata inizialmente per sostanza tossica, sprigionata nell'aria dai nazisti. Una sequenza di immagini drammatiche sono giunte fino a noi, grazie allo scatto di fotoreporter, per ricordarci negli anni a venire cosa è davvero accaduto nelle fabbriche della morte, costruite per la cosiddetta "soluzione finale", ovvero lo sterminio sistematico della razza ebraica. Ma nel novero delle vittime vanno inclusi anche i disabili, sui quali venne inaugurata la sperimentazione delle più efficaci strategie per lo sterminio di massa, rom, non ariani, dissidenti politici e cosiddetti "indesiderabili", come omosessuali e dissidenti religiosi.

Furono circa 17 milioni di persone che persero la loro vita a causa dei processi di "arianizzazione" promossi dal regime di Adolf Hitler. A pagare il prezzo più alto furono gli ebrei, circa 6 milioni, vero obiettivo perseguito dal Reich. Solo gli occhi di chi ha vissuto quegli orribili anni, unitamente ai documenti fotografici giunteci, possono testimoniare che non sono congetture inventate ad arte dalla propaganda antinazista. Supposizioni che, a distanza di anni, continuano, purtroppo, a sedurre la gente, anche quella più istruita. Non solo. Ma ricordare e custodire la memoria di quel periodo significa anche acquisire una maggiore consapevolezza delle nostre esistenze. Mantenere e allargare i diritti umani di tutti, a prescindere dalla razza, dalla religione, dall'orientamento politico o sessuale.

Il mondo andò in frantumi, inghiottito dalla violenza insensata che si abbatté sull'Europa. Sì, perché il male, quello più pericoloso, derivò quando il governo sprigionò inutili parole di odio e di divisione; quando diffuse menzogne che, grazie all'utilizzo di un linguaggio scarnificato – ridotto all'essenziale – prevalse sulla popolazione, senza alcuna distinzione sociale (un tema terribilmente attuale). A questo si aggiunse una propaganda orientata solo a celebrare il potere e la perfezione fisica, annichilendo ogni forma di bellezza: milioni di opere d'arte vennero strappate con ferocia alle famiglie ebree e ai musei dei paesi occupati, nascosti poi, nelle miniere abbandonate in attesa della vittoria finale.

Per non parlare delle opere d'arte d'avanguardia, considerate il frutto di un' élite malata, deleteria per la sana educazione dei tedeschi. Insomma tutto ciò che non rientrava nei canoni di bellezza stabili dal Reich, veniva sequestrata e data al rogo nella pubblica piazza per invitare, poi, il popolo all'irrisione. Tutte queste atrocità si potrebbero racchiudere nell'opera de "La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme", scritta dalla politologa Hannah Arendt, la quale assistette al processo del gerarca nazista Otto Adolf Eichmann, considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista. A volte pensiamo che il male sia qualcosa che non ci appartenga, di distante da noi; in realtà, spesso, cammina accanto a noi, a volte sussurrandoci, a volte seducendoci o a volte coinvolgendoci inconsapevolmente.

Proprio dalla "normalità" spesso si eleva il male più devastante, come quello commesso da Eichmann e dalla maggior parte dei gerarchi nazisti. Un cittadino come tutti gli altri, non spinto da pensieri maligni e dedito a lavorare, ad ottenere promozioni, a riordinare numeri sulle statistiche, ecc…

Eppure a muovere le corde del male più atroce fu una mente spaventosamente normale, ma completamente incosciente di cosa significassero le proprie azioni. Chiunque poteva essere Eichmann, bastava essere privo di personalità e di idee, come lui. Ed è proprio questa mancanza di idee ne faceva uno dei più grandi criminali di quel periodo storico. Le parole della Arendt urtarono ed urtano, tutt'ora, contro il mondo degli intellettuali. Molto probabilmente la critica più pesante arrivò da Saul Bellow, che nel suo Pianeta di Mr. Sammler così commentò "l'idea di far sembrare il grande crimine del secolo come qualcosa di poco interessante è banale". Nonostante la questione risulti, attualmente, ancora accesa, penso che il saggio de "La banalità del male" sia un'occasione per scovare la grande questione morale relativa al male.

Eichmann, durante il processo, spesso ripete di non essere mai stato dissuaso da nessuno; anzi raccontò di essere stato fortemente scosso e impressionato dalla vista dei campi di sterminio e dai crimini che vi si svolgevano, ma constatando che nessuno lo fermò, smise di pensare e si limitò a organizzare il trasporto degli ebrei nei campi di concentramento. Crimini che moltiplicati per il numero delle persone che li commisero divennero un vero e proprio massacro. "Il guaio del caso di Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi, né sadici bensì erano terribilmente normali", commentò Hannah Arendt.

Il che significa che il male può verificarsi su larga scala e solo per nostra responsabilità. Azioni che fanno eco nei nostri giorni. Perché come diceva Primo Levi se sono accaduti una volta si possono ripetere. Magari con modalità differenti. La xenofobia, il razzismo, il sessismo sono ben radicati nella nostra vita, anche in quella virtuale.
Le persone che si nascondono dietro ad uno schermo scrivendo parole d'odio oppure che agiscono, violentemente, in branco nella realtà non si rendono conto del male che commettono, ma sono sostenuti dal fatto di essere in molti. Costantemente e quotidianamente siamo circondati da parole che feriscono, lacerano l'anima di quelle persone definite "diverse" rispetto agli stereotipi indotti dalla società. Insulti che, purtroppo, trovano sempre più spazio nella nostra comunità. E quando tentiamo di individuare una spiegazione al male, non troviamo risposte. Perché – come sottolineò Hannah Arendt – il male non ha spessore, non ha profondità. Solo il bene è radicale. Dal diario della scrittrice statunitense, dovremmo imparare, oggi giorno, la lezione dal caso di Eichmann ovvero quella della "spaventosa, inimmaginabile e indicibile banalità del male".