Francesco Giorgino a "Uno Mattina in Famiglia" ricorda commosso suo zio deceduto per Covid
Toccante testimonianza del giornalista andriese: «Le ultime ore di vita senza comunicare con i propri affetti»
sabato 28 novembre 2020
13.55
«Una persona estremamente buona, dirigente della Polizia di Stato in pensione da alcuni anni. Morto domenica scorsa». Francesco Giorgino, giornalista Rai andriese, racconta il lutto subito dalla sua famiglia ospite di Tiberio Timperi e Monica Setta nella trasmissione del sabato mattina "Uno Mattina in Famiglia".
Francesco Giorgino a poche ore dalla scomparsa di suo zio ha parlato del dolore per questa grave perdita su Facebook perchè tutti sapessero il dolore che deriva dal fatto di trascorrere le ultime ore di vita di un malato di Covid senza poter comunicare con i propri affetti. Tutto ciò accresce il dramma di questa malattia. In studio c'era anche Mons. Vincenzo Paglia e per "Il fatto del giorno" si è parlato di "Visitare gli infermi Covid".
Francesco Giorgino a poche ore dalla scomparsa di suo zio ha parlato del dolore per questa grave perdita su Facebook perchè tutti sapessero il dolore che deriva dal fatto di trascorrere le ultime ore di vita di un malato di Covid senza poter comunicare con i propri affetti. Tutto ciò accresce il dramma di questa malattia. In studio c'era anche Mons. Vincenzo Paglia e per "Il fatto del giorno" si è parlato di "Visitare gli infermi Covid".
Di seguito il post scritto da Giorgino:
«Per mio zio Pierantonio ucciso oggi dal Covid. Ti voglio bene..
«Per mio zio Pierantonio ucciso oggi dal Covid. Ti voglio bene..
"Se ne è andato in punta di piedi. Senza nemmeno un accenno di sorriso o un leggero movimento della mano. Senza nemmeno una parola. Un'ultima parola che riannodasse le fila di una vita vissuta tra non poche difficoltà ed ostacoli. Se ne è andato in silenzio. Quel silenzio al quale ci aveva abituati, per temperamento e stile. Lui che aveva fatto della ordinarietà un passepartout per accedere alla straordinarietà. Lui che aveva scacciato nelle retrovie della propria esistenza i gesti eclatanti e plateali. Lui che nell'impegno pluridecennale in Polizia come funzionario aveva abitato gli spazi di retroscena più che quelli di palcoscenico, per scelta e soprattutto per amore verso la famiglia. Lui che aveva inseguito il valore della riservatezza e della discrezione. Rispettando tutti, senza distinzione alcuna.
Il Covid lo ha trafitto. Ha attraversato il suo corpo come una lama affilata. Gli ha rubato ora dopo ora l'ossigeno. Lo ha fatto agendo da genio del male qual è. In poco tempo ha aggredito i suoi polmoni, costringendolo ad insopportabili affaticamenti e a tragiche apnee. La crudeltà di questo virus consiste anche (o soprattutto?) nel fatto che ti costringe a imboccare una strada che nella tua immaginazione, fiaccata da un sistema immunitario debole e fragile, coincide sovente con l'dea di non farcela.
Si tarda a chiamare il pronto soccorso perché in fondo si ha paura di non tornare più in quel luogo -la casa- che mai come in queste circostanze assume le sembianze di rifugio in grado di separarci da ciò che temiamo di più. Quasi un elmetto in tempi di guerra. C'è la paura del congedo dai propri cari. C'è la certezza di una crudeltà disumana, quella cioè di trascorrere gran parte delle ore senza contatti con gli affetti più cari. Crudeltà talvolta necessaria, talaltra frutto di disorganizzazione e mancanza di sensibilità.
Si soffre per l'aria che manca e perché si sa che fuori dalle stanze d'ospedale, dove l'unico rumore che conta è quello dei macchinari in funzione, ci sono tutte le persone che ami. Grandi e piccini che provano disperatamente ad avere tue notizie. Spesso, troppo spesso, senza ricevere nemmeno lo straccio di una pur generica risposta. Un labirinto in cui districarsi. Un'impresa titanica tra telefoni che non rispondono, informazioni passate a fatica tra un turno e l'altro, situazione perenne d'emergenza. Sensazioni di terrore acuite dalla consapevolezza oltretutto dello stato di salute dei vicini di letto o di barella.
Minuti che sembrano ore. Ore che sembrano giorni. Giorni che sembrano settimane. Il tempo diventa il terreno più fertile in cui sperimentare traiettorie di comunicazione intrapersonale. In cui fare esercizi di autocoscienza. In cui provare, con le poche forze fisiche che ti rimangono, a rintracciare il significato più autentico della vita e della morte.
Le palpebre rallentano il movimento. Gli occhi si socchiudono. Il cuore smette di battere e con esso smette di esistere la speranza di poter raccontare agli altri come sconfiggere questo nemico subdolo e devastante. Un istante ancora. Un solo istante per pensare a chi di lì a qualche minuto, attraverso lo squillo di un telefonino, saprà che il Signore ti sta accogliendo tra le sue braccia. Per darti la carezza che meriti e per dirti grazie per il dolore che hai saputo sopportare nella tua vita"».