"Dono e giudizio": oggi si celebra la Giornata Mondiale del Povero
Riflessione di don Ettore Lestingi, parroco della chiesa Madonna della Grazia
domenica 17 novembre 2019
Il 16 marzo 2013, il Santo Padre Papa Francesco, incontrando per la prima volta i giornalisti di tutto il mondo, tracciò con una espressione lapidaria il programma del suo pontificato: " … come vorrei una Chiesa povera e per i poveri". Come per incanto la Chiesa si svegliò dal torpore dell'indifferenza e ha cominciato a rimettere al centro della sua azione pastorale la povertà come stile da assumere e piaga da combattere, nell'intento di ripulirsi da tutte quelle incrostazioni che, lungo i secoli, hanno oscurato il suo volto, rendendola sempre più lontana dal suo naturale contesto di azione, l'umanità, e fare una scelta di campo "la scelta preferenziale per i poveri". Da qui è partito un processo di conversione pastorale fondato su un dato di fede: " quello che avete fatto loro, lo avete fatto a me e quello che non avete fatto loro non l'avete fatto a me" (Mt.25).
Finalmente Gesù non è solo rinchiuso in tabernacoli d'oro, ma è realmente presente e quindi riconosciuto e amato, nella carne dell'affamato, dell'assetato, del forestiero, di chi è spogliato della sua dignità, del malato, del carcerato. L'immagine che propongo alla vostra riflessione è eloquente in merito: il volto di Cristo è lo stesso di quello del povero. Ma perché celebrare una Giornata Mondiale del Povero?
Per alcuni tale evento sembra inutile o addirittura di cattivo gusto, perché non è con una giornata che si risolve il problema della povertà. Né tanto meno con tavole rotonde, o convegni… Secondo il mio modestissimo parere tale giornata ha la forza di un fulmine a ciel sereno, o l'incredibile risveglio provocato da una scossa di terremoto almeno per riflettere e magari rivedere il nostro stile di vita, le nostre scelte pastorali e, per chi ha l'onore e l'onere di gestire la Cosa pubblica, le proprie scelte politiche. Il povero è dono soprattutto per noi, uomini e donne della civiltà dell'opulenza, ricchi di tutto ma poveri di vera felicità.
Il povero è dono perché, in chi lo incontra, fa nascere la nostalgia di valori perduti: la felicità data dalle cose semplici (S. Francesco), la libertà da ogni forma di ossessione e possessione, la gratitudine. Sapendo o non sapendo, il povero è la "possibilità storica ed evidente " del Vangelo, soprattutto di quella pagina che dà respiro e mette ali di autentica libertà. Vi prego di leggerla attentamente: "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi? (Mt. 7,25 – 30).
Il povero è dono perché è testimone concreto di che cosa significa affidarsi alla provvidenza di Dio. Il povero è dono perché maestro di vita alla cui cattedra dobbiamo tutti tornare, per imparare il segreto della felicità. Ma al tempo stesso il povero è giudizio soprattutto per noi, uomini e donne di Chiesa, esperti parolai di povertà e di poveri, ma che nei nostri bilanci consuntivi personali, famigliari ed ecclesiali, non compare mai la voce in uscita: "per i poveri". Il povero è giudizio per noi Chiesa, che mentre ossessioniamo i nostri fedeli ad essere generosi nei confronti dei poveri, vestiamo paramenti e usiamo suppellettili liturgici dai costi esagerati offendendo la dignità del povero. Amiamo proclamare con enfasi ed emozione la Parabola del Buon Samaritano e dinanzi al povero che tende la mano "passiamo oltre …".
Il povero è giudizio per tutti, per chi crede e per chi non crede, lo è anche per chi ha in mano le sorti dei popoli, gli Amministratori e i politici, il cui compito principale è quello di garantire una vita dignitosa ai loro cittadini, da cui hanno ottenuto fiducia e che in loro hanno riposto ogni speranza. La Giornata Mondiale del povero, è vero, non risolve il problema della povertà, ma certamente destabilizza ogni nostra certezza, mette in crisi la nostra visione di vita con la speranza di liberarci dall'inganno della vanità.
Finalmente Gesù non è solo rinchiuso in tabernacoli d'oro, ma è realmente presente e quindi riconosciuto e amato, nella carne dell'affamato, dell'assetato, del forestiero, di chi è spogliato della sua dignità, del malato, del carcerato. L'immagine che propongo alla vostra riflessione è eloquente in merito: il volto di Cristo è lo stesso di quello del povero. Ma perché celebrare una Giornata Mondiale del Povero?
Per alcuni tale evento sembra inutile o addirittura di cattivo gusto, perché non è con una giornata che si risolve il problema della povertà. Né tanto meno con tavole rotonde, o convegni… Secondo il mio modestissimo parere tale giornata ha la forza di un fulmine a ciel sereno, o l'incredibile risveglio provocato da una scossa di terremoto almeno per riflettere e magari rivedere il nostro stile di vita, le nostre scelte pastorali e, per chi ha l'onore e l'onere di gestire la Cosa pubblica, le proprie scelte politiche. Il povero è dono soprattutto per noi, uomini e donne della civiltà dell'opulenza, ricchi di tutto ma poveri di vera felicità.
Il povero è dono perché, in chi lo incontra, fa nascere la nostalgia di valori perduti: la felicità data dalle cose semplici (S. Francesco), la libertà da ogni forma di ossessione e possessione, la gratitudine. Sapendo o non sapendo, il povero è la "possibilità storica ed evidente " del Vangelo, soprattutto di quella pagina che dà respiro e mette ali di autentica libertà. Vi prego di leggerla attentamente: "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi? (Mt. 7,25 – 30).
Il povero è dono perché è testimone concreto di che cosa significa affidarsi alla provvidenza di Dio. Il povero è dono perché maestro di vita alla cui cattedra dobbiamo tutti tornare, per imparare il segreto della felicità. Ma al tempo stesso il povero è giudizio soprattutto per noi, uomini e donne di Chiesa, esperti parolai di povertà e di poveri, ma che nei nostri bilanci consuntivi personali, famigliari ed ecclesiali, non compare mai la voce in uscita: "per i poveri". Il povero è giudizio per noi Chiesa, che mentre ossessioniamo i nostri fedeli ad essere generosi nei confronti dei poveri, vestiamo paramenti e usiamo suppellettili liturgici dai costi esagerati offendendo la dignità del povero. Amiamo proclamare con enfasi ed emozione la Parabola del Buon Samaritano e dinanzi al povero che tende la mano "passiamo oltre …".
Il povero è giudizio per tutti, per chi crede e per chi non crede, lo è anche per chi ha in mano le sorti dei popoli, gli Amministratori e i politici, il cui compito principale è quello di garantire una vita dignitosa ai loro cittadini, da cui hanno ottenuto fiducia e che in loro hanno riposto ogni speranza. La Giornata Mondiale del povero, è vero, non risolve il problema della povertà, ma certamente destabilizza ogni nostra certezza, mette in crisi la nostra visione di vita con la speranza di liberarci dall'inganno della vanità.