Braccianti pagati 4 euro l’ora a Spinazzola, Flai e Cgil: "Servono maggiori controlli"
Nota congiunta dei segretari generali della Cgil Bat e della Flai Cgil Bat, Gaetano Riglietto e Biagio D’Alberto a seguito dell’operazione dei Carabinieri
giovedì 6 agosto 2020
15.10
"Esprimiamo il nostro vivo apprezzamento per l'azione di contrasto allo sfruttamento del lavoro e contro il caporalato a Spinazzola compiuta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Bari e del Nucleo Ispettorato del Lavoro che ha portato ad un arresto e alla denuncia di due imprenditori agricoli, oltre alle sanzioni comminate. Ma noi non ci stancheremo mai di denunciare le condizioni vergognose nelle quali sono costretti i braccianti, soprattutto migranti, anche in questa terra", dicono i segretari generali di Flai Cgil Bat e della Cgil Bat, Gaetano Riglietti e Biagio D'Alberto.
"Vorremmo che alle nostre denunce si affiancassero quelle delle associazioni datoriali perché chi opera nell'illegalità e truffa lo stato è un concorrente sleale di chi vuole continuare a fare impresa rispettando le leggi. E, invece, avvertiamo sempre minimizzazioni, fino a sentir dire che il lavoro nero è scomparso. Chiediamo ancora una volta a tutti gli organismi ispettivi di intensificare i controlli e lavorare in maniera coordinata. L'azione di contrasto allo sfruttamento e alla riduzione in schiavitù, rappresenta assieme un'enorme emergenza sociale ma anche economica, considerate le risorse ingenti che il caporalato sottrae all'economia del territorio", spiegano.
"Come sempre accade, l'attività illecita di segnare le giornate per ogni singolo bracciante avveniva su un quaderno, da dove è emerso che i lavoratori erano impegnati in condizioni di sfruttamento, con orari di lavoro superiori a quelli previsti contrattualmente, sottopagati e in violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza. Apprendiamo, inoltre, che ad aggravare la condizione c'era anche il degrado in cui gli stessi lavoratori alloggiavano, casolari abbandonanti, privi di ogni servizio igienico e sanitario. Il fatto stesso che la scelta della manodopera non era casuale ma effettuata fra lavoratori sprovvisti di permesso di soggiorno o prossimi alla scadenza, ha permesso che i lavoratori accettassero qualsiasi condizione. La regolarizzazione dei migranti prevista dall'art. 103 del D.L. 34/2020 doveva servire a togliere i migranti dalle mani dei caporali, rompendo questo meccanismo perverso in cui sicuramente avrebbero beneficiato anche i lavoratori italiani che spesse volte ricevono un sotto-salario e pertanto le aziende che sfruttano non avrebbero avuto più la possibilità di ricattare i lavoratori, anche italiani, minacciando di trovare chi è disposto a lavorare per necessità e in condizioni peggiori. Inoltre, ci risulta che diversi datori di lavoro non sono disponibili ad attivare la procedura di emersione prevista dall'art. 103 del D.L. 34/2020 per i lavoratori alle loro dipendenze e spesse volte il rapporto di lavoro irregolare in essere viene interrotto nel momento in cui il lavoratore fa richiesta di attivazione della procedura", aggiungono Riglietti e D'Alberto ricordando in conclusione che "questi lavoratori sono innanzitutto delle persone e non braccia o numeri, che hanno diritto ad un salario per condurre una vita dignitosa. Sappiamo benissimo che sfruttamento e caporalato non fanno distinzioni di nazionalità e del colore della pelle per questo la nostra è innanzitutto una battaglia di civiltà".
"Vorremmo che alle nostre denunce si affiancassero quelle delle associazioni datoriali perché chi opera nell'illegalità e truffa lo stato è un concorrente sleale di chi vuole continuare a fare impresa rispettando le leggi. E, invece, avvertiamo sempre minimizzazioni, fino a sentir dire che il lavoro nero è scomparso. Chiediamo ancora una volta a tutti gli organismi ispettivi di intensificare i controlli e lavorare in maniera coordinata. L'azione di contrasto allo sfruttamento e alla riduzione in schiavitù, rappresenta assieme un'enorme emergenza sociale ma anche economica, considerate le risorse ingenti che il caporalato sottrae all'economia del territorio", spiegano.
"Come sempre accade, l'attività illecita di segnare le giornate per ogni singolo bracciante avveniva su un quaderno, da dove è emerso che i lavoratori erano impegnati in condizioni di sfruttamento, con orari di lavoro superiori a quelli previsti contrattualmente, sottopagati e in violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza. Apprendiamo, inoltre, che ad aggravare la condizione c'era anche il degrado in cui gli stessi lavoratori alloggiavano, casolari abbandonanti, privi di ogni servizio igienico e sanitario. Il fatto stesso che la scelta della manodopera non era casuale ma effettuata fra lavoratori sprovvisti di permesso di soggiorno o prossimi alla scadenza, ha permesso che i lavoratori accettassero qualsiasi condizione. La regolarizzazione dei migranti prevista dall'art. 103 del D.L. 34/2020 doveva servire a togliere i migranti dalle mani dei caporali, rompendo questo meccanismo perverso in cui sicuramente avrebbero beneficiato anche i lavoratori italiani che spesse volte ricevono un sotto-salario e pertanto le aziende che sfruttano non avrebbero avuto più la possibilità di ricattare i lavoratori, anche italiani, minacciando di trovare chi è disposto a lavorare per necessità e in condizioni peggiori. Inoltre, ci risulta che diversi datori di lavoro non sono disponibili ad attivare la procedura di emersione prevista dall'art. 103 del D.L. 34/2020 per i lavoratori alle loro dipendenze e spesse volte il rapporto di lavoro irregolare in essere viene interrotto nel momento in cui il lavoratore fa richiesta di attivazione della procedura", aggiungono Riglietti e D'Alberto ricordando in conclusione che "questi lavoratori sono innanzitutto delle persone e non braccia o numeri, che hanno diritto ad un salario per condurre una vita dignitosa. Sappiamo benissimo che sfruttamento e caporalato non fanno distinzioni di nazionalità e del colore della pelle per questo la nostra è innanzitutto una battaglia di civiltà".