Arriva davanti al Tribunale di Trani la chiusura di via Carmine e via Eritrea

Intanto la zona è diventata desolata, pochissimi gli esercizi commerciali rimasti aperti

mercoledì 30 novembre 2016 22.50
Una nuova pagina, questa volta giudiziaria si apre per la vexata questio che interessa la chiusura al traffico di via Eritrea, via Carmine e San Vito. Nei giorni scorsi l'amministrazione comunale si è costituita in giudizio nella causa civile promossa da una ditta, la cui sede è presente da decenni in zona. La ditta ha citato il Comune di Andria per una richiesta di risarcimento danni per mancato guadagno e perdite subite in seguito alla interdizione e inibizione della circolazione stradale veicolare su via Eritrea, Carmine e San Vito, per lavori di ordinaria manutenzione del manto stradale. Da quanto si apprende, l'instaurazione di questa causa civile scaturisce dopo numerosissime richieste, anche collettive, rivolte all'Amministrazione comunale ed in particolare ai Settori Lavori Pubblici e Patrimonio, affinchè si provvedesse a mettere in essere tutti gli accorgimenti tecnici per riaprire dette strade alla circolazione stradale.

Era la fine di febbraio del 2011 quando via Eritrea, una strada del c.d quartiere "dell'Altomare", che congiunge via Carmine con piazza Porta La Barra venne interdetta al traffico veicolare per il paventato crollo del pluviale ottocentesco, fatto con le volte in tufo, che percorre tutta l'arteria stradale.
Iniziò così una lunga odissea per residenti e commercianti della zona. Proteste ed appelli rivolti a Palazzo di Città per vedere la riapertura di via Eritrea e via Carmine sortirono nel marzo 2012, l'installazione di un ponte Bailey, per il superamento del tratto lesionato su via Carmine. Nel frattempo chiudeva la storica filiale del Banco di Napoli ed insieme ad essa altre realtà commerciali. Il ponte Bailey fu uno stratagemma, definito allora provvisorio per permettere, sia pure per le sole autovetture, il transito su via Carmine, così da bypassare il famigerato tronco del pluviale. Una soluzione estrema, si disse allora da Palazzo di Città, in attesa di provvedere ai lavori che avrebbero consentito la riapertura delle due strade. Intanto la locazione del ponte è andata avanti anno dopo anno, un affitto costato migliaia e migliaia di euro, quasi da poterlo acquistare in toto. I residenti della zona, incontrando i candidati sindaco della tornata elettorale della primavera del 2015 chiesero che si ponesse fine a questo sconcio, ma ad oggi, malgrado le promesse non hanno ancora ricevuto notizie su quando partiranno i più volte auspicati e promessi lavori per il consolidamento statico del pluviale e la conseguente riapertura al traffico sia di via Carmine sia di via Eritrea.

Intanto la zona è diventata desolata, pochissimi gli esercizi commerciali rimasti aperti -Scamarcio e Di Padua quelli storici- a sperare (ancora) in una soluzione definitiva di questa vicenda. Naturalmente i disagi per i residenti restano come, ad esempio, per il carico e scarico merci per gli esercizi commerciali o il transito da e per le autorimesse, nel dedalo di sensi unici tra le strette vie del quartiere. Problemi anche per gli studi medici della zona, per la scuola elementare Mons. Di Donna (il celebre ex edificio Imbriani), dove svariate volte nel corso di questi lunghi anni è accaduto che le ambulanze del servizio "118" intervenute per soccorrere anziani o infortunati si sono fermate in piazza Porta la Barra, portando via il malcapitato in barella per un buon pezzo di strada, con delle vere e proprie assurde scene da film.

Ma la trascuratezza della zona ormai dilaga inesorabilmente: all'abbandono della storica sede della Polizia Municipale di piazza Porta La Barra si è aggiunto il declino per l'ex vespasiano di via Eritrea, un posto ideale per creare dei giardinetti con giostrine per bambini.

Adesso la pazienza è terminata. Dopo le raccolte delle firme tra i cittadini ed gli ultimi commercianti presenti, non solo di via Eritrea e via Carmine ma di tutto il quartiere, adesso si è passati alle vertenze giudiziarie. Un brutto segnale per una comunità stanca e sfiduciata.